Dopo aver chiuso definitivamente la parentesi con i Blue Mountain e dopo il buon debutto da solista dal titolo The Phoenix del 2002, Cary Hudson ritorna alle stampe con Cool Breeze, probabilmente il più bel lavoro in studio realizzato nella sua carriera. L’album è composto da canzoni sincere, brillanti e al tempo stesso ruvide e trascinanti che sottolineano ancora una volta lo stretto legame che unisce l’artista del Mississippi alla sua terra di appartenenza.
Non a caso, infatti, le registrazioni sono state realizzate negli studi Route 1 Recording, nel cuore di una foresta (illustrata in copertina) a metà strada tra Jackson e New Orleans.
La chiara derivazione country-blues è sempre presente nella musica di Hudson ma se con i Blue Mountain di Roots aveva reinterpretato in modo personale alcuni classici della tradizione americana, in Cool Breeze mette a disposizione tutta la sua creativa vena di songwriter attingendo dalle diverse matrici della roots music.
Things Ain’t What They Used To Be, sferrante cavalcata southern rock dalle chitarre taglienti, Jellyroll, roots rock con un’urlante dialogo tra l’armonica e la slide, e Ain’t No Telling, hard blues in tipico stile Canned Heat, rappresentano la parte più irruenta dell’album, mentre le ballate 8 Ball Blues e Bay Street Blues riportano all’Americana più pura.
L’omaggio a Muddy Waters in Haunted House Blues fa da cornice agli altri pezzi di blues acustico quali Don’t Hasten Away e Cool Breeze, che sono diversamente influenzati dalla tecnica fingerpicking dei country-blues del Piedmont, mentre Some Things Never Change è l’unico brano in cui emerge il sound caratteristico dei Blue Mountain.
Black Dog 2203 (Alternative Country, 2004)
Matteo Montana, fonte JAM n. 109, 2004
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