Chi segue la musica country prodotta a Nashville non faticherà a ricordare il nome di Phil Vassar che ricorre in più di una hit lanciata da artisti di punta del mercato discografico. Da qualche tempo Vassar scrive soprattutto per i propri dischi e dopo il fortunato esordio del self titled album (ricordate Carlene, That’s When I Love You, Another Day In Paradise e Six Pack Summer) rieccolo con un follow up che se non è potente come il precedente, è sicuramente un lavoro di qualità sopra la media.
Dodici canzoni scritte da Vassar e da coautori molto noti sul panorama musicale di Music City, per citarne solo alcuni Craig Wiseman, Annie Roboff, Brett James e Tim Nichols.
Non cambiano le caratteristiche peculiari del lavoro di questo cantautore, canzoni solari e positive con messaggi di ottimismo e gioia di vivere, ritmiche sostenute che prendono il volo spesso da intro scandite da un solo strumento.
L’inizio del disco con la title track, ricorda un po’ il piano che apriva Carlene con la sola differenza che questa volta è il mandolino a scandire le note iniziali del pezzo che racconta l’orgoglio velatamente patriottico delle proprie origini, radici e della propria vita. L’accompagnamento di pianoforte, strumento prediletto dell’artista, è presente in più di una canzone dell’album come Stand Still e la finale I’ll Be The One.
Il disco prosegue con una serie di belle ballate medio veloci (Forgettin’s So Long, Baby You’re Right, Ultimate Love, Houston, Time’s Wastin’), qualche episodio dal sapore più rock con tanto di chitarre inacidite (Athens Grease) tutto in perfetto stile Phil Vassar.
Un disco che non vuole battere record di vendite, non chiede di divenire un punto di riferimento del genere, quelle di Vassar sono canzoni spensierate scritte per alleggerire i pensieri di chi ascolta e anche questo American Child riesce ad assolvere questo compito.
Arista Nashville 07863 67048 2 (New Country, Country Pop, 2002)
Roberto Galbiati, fonte Country Store n. 68, 2003
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