Quando sul finire dello scorso decennio ci giunse notizia dello scioglimento dei New Grass Revival, degli Hot Rize, degli Skyline e dei Johnson Mountain Boys, anche da noi molti appassionati di bluegrass caddero in uno stato di depressione. Cosa stava succedendo? Era in atto un cambiamento di tendenza? Direi di no, data l’enorme differenza stilistica che caratterizzava il sound di queste bands, sound che pur infiammando i cuori di un pubblico interamente etichettabile come ‘bluegrass’, andava a collocare questi nomi in capitoli ben diversi nella Storia Della Musica Bluegrass: il rock-pop-country-grass dei New Grass Revival; la sperimentazione, la ricerca degli Skyline di Tony Trischka; il bluegrass moderno, d’autore, di ‘classe’ degli Hot Rize; l’hard-core, hard-driving traditional bluegrass dei Johnson Mountain Boys. Niente affatto, una coincidenza, una triste coincidenza. Oggi, visti i risultati di quelle scelte, possiamo tuttavia ritenerci sani e salvi.
Infatti alcuni dei musicisti che facevano parte di quelle formazioni continuano, saltuariamente, a mandarci in orbita con nuove produzioni discografiche. Per quanto riguarda i JMB, scioltisi nel 1988, questo Blue Diamond rappresenta un vero e proprio ritorno. Quell’anno incisero Requests e il doppio live d’addio At The Old Schoolhouse, dopo di che il silenzio.
Decisero in comune accordo di fermarsi, di dare un taglio a quella vita fatta di almeno 250 concerti all’anno in ogni angolo della Nazione, oltre alle solite apparizioni televisive, radiofoniche e via discorrendo.
La notizia del loro abbandono, più degli altri, cadde come un fulmine a ciel sereno: la migliore band di neo-traditional bluegrass, con la sua popolarità in continua ascesa, con un progressivo miglioramento disco dopo disco, con una sempre migliore presenza scenica e spettacolare ai concerti, improvvisamente, o quasi, cessò l’attività…. Un autorevole giornalista di settore giudicò il fatto paragonandolo addirittura allo scioglimento dei Foggy Mountain Boys di Lester Flatt e Earl Scruggs! E vi fu anche chi, come succede quasi sempre con i miti, non volle accettare l’idea che i JMB, da quel momento, fossero qualcosa che riguardasse solo il passato.
I Johnson Mt. Boys, per la fortuna di questi ultimi, in realtà non hanno mai smesso di suonare: nel 1989 i ‘reunion concert’ tenuti dal gruppo furono un paio, nel 1990 aumentarono a 15 (uno dei quali alla prestigiosa Carnegie Hall di New York), nel 1991 25 e così via, i cinque musicisti decisero quindi di vivere la loro passione part-time, senza stress o pressioni.
Tre sono andati a nozze, e quasi tutti si sono cercati un lavoro; Dudley Connell, leader storico nonché, chitarrista e cantante lead, occupa un posto alla Smithsonian/Folkways, e questo gli ha permesso di accrescere la sua cultura musicale. Non é perciò casuale che nel nuovo lavoro siano presenti brani di Hazel Dickens, Bob Dylan, Buck Owens, Jean Ritchie o George Jones.
Ed é proprio la varietà del repertorio la caratteristica del nono disco dei JMB, oltre naturalmente alla riconferma del loro grande amore verso la tradizione degli Stanley Brothers.
Forse c’è un pizzico meno grinta che in passato, ma a favore di una maggiore cura degli arrangiamenti. Sono ulteriormente maturati, dedicano più attenzione alla canzone, spaziando dal duetto al country anni ’50, dal gospel al brano d’autore, ma sempre garantendo quell’inconfondibile, potente, trascinante sound che ha fatto dei Johnson Mountain Boys una delle migliori formazioni bluegrass di tutti i tempi.
Ora, però, resta la paura di dover attendere altri cinque anni il loro prossimo disco.
Rounder 0293 (Bluegrass Tradizionale, 1993)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 19, 1993
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