Al primo ascolto si può pensare di trovarsi di fronte ad un album di country-folk, ma il crogiuolo noto come roots-music o Americana che dir si voglia, racchiude molte più espressioni artistiche di quelle che possono essere confinate all’interno di un’etichetta. Il primo paragone che viene in mente ascoltando questo Hand Me Down Land, debutto del cantautore Steve Bedunah, è quello con James McMurtry. Stesso approccio discorsivo dei testi, più recitati che cantati e stesso tessuto musicale: essenziale, parco, scarno spesso molto tradizionale, ma mai insufficiente a supportare le sue narrazioni ed a disegnare i suoi personaggi, che rispondono a connotazioni sia di campagna che di città e che si trovano a dover affrontare le loro problematiche in un ambito psicologico che non riescono a comprendere appieno.
Ricercano le soluzioni a modo loro: alcuni si affidano ad una pistola, mentre uno spirito indiano usa trucchi soprannaturali. Alcuni problemi parlano della terra che si è inaridita e non riesce più a dare da mangiare ai suoi abitanti, ma in qualche modo essi riescono a tirare avanti. Altri personaggi imparano, a loro spese, che i rapporti umani non sono perfetti e sperano che le cose migliorino. Spesso le risposte non ci sono, ma le cercano ugualmente: i personaggi sono reali, le soluzioni imperfette.
Le canzoni di Steve sono la fedele cronaca delle situazioni che si trova ad affrontare il cuore di un uomo, le sofferenze della gente comune ed i loro tentativi di tenere alto il morale, l’ironia e lo humor della vita. Non si può fare a meno di fare nostra la debolezza dei vicini in Love Thy Neighbor, l’ironia della situazione di Bill Johnston in The Johnstons (dove deve dipendere da sua moglie per il suo whiskey) o la vita grama di It’ll Be, dove la moglie deve tenere perfettamente in ordine i vestiti del marito, mentre lei ha solo una misera salopette ed una blusa sdrucita.
Da un punto di vista musicale, il sound che accompagna i testi di Steve è la classica proposta cantautorale, che si esprime di preferenza sulle corde di una chitarra acustica, con studiati arrangiamenti, che completano il suono, ma che lasciano comunque in primissimo piano il titolare. Spesso la ritmica è appannaggio delle percussioni (Bryan Brock), che prendono il posto della batteria (Jerry Saracini), il dobro di Milo Deering è spesso in primo piano (I Need To Go Home), mentre Steve Bedunah si alterna alle chitarre (acustica, elettrica e resonator) insieme all’amico, produttore e polistrumentista Eric Herbst (chitarre elettriche, sitar elettrico e wurlitzer).
I musicisti che affiancano Steve nel suo debutto non rappresentano certo la crema degli studios, ma si tratta di gente sincera, che suona per il piacere di farlo e niente più. Brani quali la già citata Love Thy Neighbor, l’iniziale I Need To Go Home, la morbida I Watch Your Shadow, il brioso title-track, l’ironica The Johnstons, la dolce Melissa’s Garden dedicata alla moglie, solo per citarne alcune, sono dei bozzetti di vita molto reali e personali, ma proprio per questo facilmente accostabili da chiunque: la sincerità è la chiave che apre la porta al mondo di Steve Bedunah.
Dog Trout DT73486 (Singer Songwriter, Alternative Country, 2004)
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 73, 2004
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