Scorrendo le note del disco potrete leggere “many thanks to wild bunch”, ed il bunch in questione non è altri che Il Mucchio Selvaggio. Il perché di questi ringraziamenti ha un fondamento in quanto io e Aldo la scorsa estate a Nyon abbiamo parlato a lungo con Rooney, convincendolo ad incidere un disco per una etichetta italiana. Ed il progetto vede finalmente la luce, dopo una gestazione piuttosto laboriosa. Un album dal titolo volutamente emblematico. Ready For The Times To Get Better ci dà nuovamente l’occasione di sentire la voce di Rooney, uno dei migliori cantanti di country oggi negli States, ed è un’opportunità unica e preziosa, in quanto il nostro non è un musicista comune.
Rooney ha una lunga storia alle spalle, dai gloriosi anni del Cambridge Folk, ai primi concerti al Village, dal precorrere il bluegrass, fino ad incidere sul finire dei sixties quel Blue Velvet Band, che tuttora rimane una gemma imperdibile (ma introvabile). Blue Velvet Band nacque da una idea di Rooney che riunì Greene, Keith e Weissberg per dare vita ad un album che avrebbe precorso di gran lunga il boom del country dei primi anni settanta.
Jim, poi nel corso dei seventies, ha lavorato ai margini di Nashville, nello studio di Jack Clement, non volendo mai entrare attivamente nel Nashville sound, in quanto rifiutava assolutamente ogni compromesso commerciale. L’unico suo lavoro solistico, a parte le apparizioni con la Woodstock Mountain Revue e le banjo sessions parigine, è quel One Day At The Time uscito nel ’75 per la Rounder, e che rimane tutt’oggi uno dei migliori album di country degli anni ’70 per il sound fresco e pulito.
Rooney e la sua grande voce sono quindi i protagonisti di questo nuovo album. Ready For The Times To Get Better ci presenta un Rooney maturo, buono a livello compositivo e intelligente per la scelta di canzoni di altri artisti. Gli arrangiamenti sono curati e la strumentazione collaudata: infatti tra i sideman notiamo Lloyd Green, Ben Keith, Jack Clement, Buddy Spicher, Kenny Koseck, Everett e Tennis Lilly, Philip Donnelly e Tony Newman (gli ultimi due sono il solista ed il batterista della band di Lee Clayton, recentemente visti a Milano).
Uno sguardo anche alle canzoni: le song vanno scisse inizialmente in due differenti generi: quelle di Rooney e quelle di altri autori. Le song di Jim richiamano volutamente il precedente album, One Day At A Time e quel sound pulito e lineare, cominciando da In It For The Long Run, la ballata che apre l’album la cui discorsività sonora è unica. Quindi Only The Best, una canzone raccontata, con il tipico stile vocale cadenzato di Jim e due tastiere in sottofondo; le altre due composizioni della del leader per questo suo nuovo album sono Interest In The Loan e The Girl At The End Of The Hall.
La scelta che ha poi operato Rooney per le canzoni di altri autori è stata assai oculata: le cover che Jim ci offre sono personali, in quanto la lettura di partiture famose come No Expectations (degli Stones) e Broided Orange (di Prine), è valida. I Recall A Gypsy Woman, una classica rednek song di Bob Mc Dill è rivista con uno spirito tutto particolare ed una interpretazione vocale unica.
Un capitolo a parte meritano poi Tennessee Blues (di quel grande loner di Bobby Charles, un mitico musicista della Louisiana) e South In New Orleans (di Johnny Wright) che il mitico Charles (grande amico di Rooney) interpretava magistralmente nell’ultimo valzer della Band. L’esecuzione di Rooney di questi due brani è assai particolare per l’indovinata vena interpretativa. Concludo la mia carrellata personale sulle canzoni con la title track: Ready For The Times To Get Better, una canzone che Rooney esegue con intelligenza. Un lavoro gradevole e ben fatto.
Appaloosa (Traditional Country, 1979)
Paolo Carù, fonte Mucchio Selvaggio n. 29, 1980