Peppino D’Agostino è ispirato. Dal clima californiano? Dalla consorte americana? Questo suo secondo album per la Shanachie testimonia, però, un momento particolarmente favorevole per la sua vena creativa.
Non che succeda a tutti ma nel suo caso trasferire armi e bagagli negli Stati Uniti ha significato effettivamente molto in termini di crescita artistica, se è lecito fare paragoni con il pur bravo strumentista che qualche anno fa, prima di spiccare il volo, si esibiva nei club italiani. E se andare oltreoceano difficilmente significa raggiungere la Mecca, può riservare, come in questo caso, il confronto con una realtà discografica più aperta a discorsi da noi mal recepiti o addirittura ignorati, con rare eccezioni.
Nella sua versione di fine anni ottanta D’Agostino è un fingerpicker di notevole completezza, dotato di tecnica e gusto, che si muove con destrezza sulla tastiera della sua Taylor cutaway, ma non disdegna la sonorità delle corde di nylon. L’uso frequente di accordature aperte di vario tipo e di effetti chitarristici suggestivi, nella migliore tradizione della scuola americana più recente, arricchisce notevolmente dei brani già efficaci di per sè grazie alla validità dei temi e al notevole lavoro ritmico del chitarrista il cui stile si appoggia su una mano destra precisa e ‘robusta’.
Anche la qualità degli arrangiamenti colpisce per la sobrietà con cui si uniscono le chitarre agli altri strumenti come piano, percussioni, basso e anche qualche tastiera.
Un disco che suona ‘piacevole’ senza cadere nel banale, dove un acuto senso della melodia si accompagna a una grossa sensibilità ritmica.
Precauzioni del caso: 1. eliminare i pregiudizi circa l’italianità dell’artista; 2. dimenticare opportunamente tutta la noia strumentale ascoltata negli ultimi anni (vedi l’ottanta per cento della New Age); 3. ‘ascoltare’ il disco e non utilizzarlo come sonorizzazione di chiacchiere con gli amici. Potrebbe piacervi molto.
Shanachie 96004 (1988)
Stefano Tavernese , fonte Chitarre n. 43, 1989