Sono passati almeno otto o nove anni dall’ultimo album di Townes Van Zandt in studio e sono stati veramente troppi anche se la nostra ‘fame’, in questo lasso di tempo, è stata saziata da una serie di album live. C’è un aspetto suggestivo in questo No Deeper Blue: è stato registrato nella piovosa Irlanda durante il mese di Aprile di quest’anno. Se si pensa quindi alle canzoni di questo songwriter e alla terra in cui è andato a registrarle sembra ci sia un filo conduttore nella ricerca del luogo e dell’atmosfera ideale per poter incidere le sue ballate, i suoi blues e le sue country-songs. Ed ecco che in compagnia del produttore e chitarrista dell’opera, Phillip Donelly (Lee Clayton), abbiamo Donovan all’armonica, Fran Breen alla batteria, Brendan Hayes alle tastiere, Pete Cummings alla chitarra acustica, il fiddle di Paul Kelly e Percy Robinson alla steel.
Il sound è sempre misuratissimo in modo che, specialmente quando Townes canta, venga esaltato quel pathos che solo lui sa sprigionare. Non si può non segnalare la profonda Cowboy Junkies Lament (un legame tra questo texano e il gruppo canadese che spesso interpreta sue songs dal vivo: Lungs,…). Ma tutti i 14 brani che compongono No Deeper Blue meritano un attento ascolto: da A Song For A Gone Too Long, a Lover’s Lullaby, a BW Railroad Blues, a Billy Boney & Ma. Traspare dalle sue songs un’epoca – o forse dovremmo iniziare a chiamarla ‘epopea’ – delle highway, della ricerca della libertà che in realtà è solo un aspetto ‘mistico’ della ricerca di se stessi. E Townes è introspettivo, sincero, pungente perché sa colpire direttamente ai sentimenti di ognuno di noi. Le delicate note penetrano al pari delle sue parole semplici ma regali perché è il principe dei tristi poeti solitari.
Intercord/Veracity 993151 (Singer Songwriter, 1994)
Gianfranco Giudici, fonte Out Of Time n. 7, 1994
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