Chet Atkins & Doc Watson – Reflections.
Doc Watson è un grande artista ed un ineguagliabile musicista, un entertainer allo stato puro; su questo penso che non vi possano essere dubbi. Ha realizzato una ventina di LP, la maggior parte dei quali eccellente, ed a differenza di molti altri conterranei attinge il proprio repertorio di prima mano dal folklore musicale rurale, patrimonio del suo nucleo familiare in North Carolina dove ormai vive da diverse generazioni. Non è quindi un artista urbano impegnato in un’operazione di revival né una patetica figura di fenomeno da baraccone da mostrare nelle fiere a 8/9000 lire il biglietto (come invece sono convinto abbia tentato di fare la RCA).
Doc Watson ha i piedi ben saldi nella propria tradizione, anche se di questi tempi risulta sempre più gravoso sostenere una scelta a volte scomoda e sempre più difficile resistere a tentazioni commerciali di ogni genere. Il doppio LP On Stage (Vanguard VSD 9/10) è un capolavoro, una delle migliori incisioni live di tutta la storia, relativamente recente, delle registrazioni live.
È triste dover costatare come pochi conoscano l’album, avendo preferito orientarsi o molto più spesso essendo stati spinti per chissà quali motivi verso l’ultima produzione del musicista. Il periodo da Memories a Live & Pickin’ può apparire, a chi si avvicina per la prima volta all’artista, più moderno e più accessibile: non è escluso, ma lì si ascolta il sig. Arthel L. Watson non il grande Doc.
A Doc non serve una band di supporto o una voce che gli faccia il controcanto e lo aiuti nei ritornelli, non servono coretti maschili e femminili. L’arte di Doc Watson è autosufficiente, non ha bisogno di nessuno e tanto meno di Chet Atkins. Operazioni di tal sorta abbondano in casa RCA o nel business discografico americano: Merle Travis & Chet Atkins, Merle Travis & Joe Maphis ed altri ameni gemellaggi. E come se non bastasse sento dire che Reflections scaturito anni fa dal sodalizio Travis-Atkins è un piccolo gioiello. A me sembra piuttosto una reciproca intervista megalomaniaca che rasenta la conversazione telefonica con un sottofondo musicale senza né capo né coda.
Tolta una melensa e quasi d’obbligo Me & Chet Made A Record, per fortuna questo Reflections ci risparmia simili lagne, anche se a conti fatti si rivela un lavoro che lascia il tempo che trova: una manciata di tradizionali, qualche inevitabile sconfinamento nel Nashville sound frutto dell’assuefazione all’atmosfera del luogo della registrazione e di una naturale predisposizione di Atkins, un paio di versioni da antologia, un eccellente omaggio ai Delmore Brothers (You’re Gonna Be Sorry), il pesante accompagnamento del basso e quello perfettamente inutile, a volte addirittura ridicolo (c/o Texas Gales/Old Joe Clark) della batteria, un epitaffio a Lester Flatt (Flatt Did It), l’impiego di una terza chitarra in funzione ritmica (a che pro?).
Superfluo dire che ci si trova al cospetto di due maestri del rispettivo stile, il finger-picking più qualcos’altro (Atkins) ed il flat-picking più qualcos’altro (Watson), ambedue estremamente personali, sebbene traggano ispirazione e stimolo dagli insegnamenti del primo Merle Travis (e spiace che non si abbia avuta l’accortezza di includere un giusto tributo all’autore di Sixteen Tons).
Atkins è molto più vicino a Travis per quanto riguarda la tecnica, ma mostra una concezione ed uno sviluppo delle parti soliste non legati a schemi tradizionali e del tutto originali: valga d’esempio la notevolissima interpretazione di Good Night Waltz. Doc Watson riesce a fare perfino una più dignitosa figura oltre che con lo strumento, e col suo modo ormai familiare di eseguire i famosi fiddle-tunes tratti dalla sua vasta conoscenza, con la solita irresistibile comunicativa attraverso un intero brano (Don’t Monkey ‘Round My Widder) o grazie solamente ad una parola, ad una frase banale buttata lì d’istinto in un particolare momento (ricordate la saga di Will The Circle Be Unbroken?).
Su tutto brilla On My Way To Canaan’s Land, il secolare gospel bianco messo a nuovo per l’occasione, che chiude Reflections ed offre lo spunto per un eccezionale duetto di chitarra e di voce. Per gli artisti qualche ora di divertimento, di scambio di esperienze e di raffronti (il tutto ben retribuito); dal canto suo il sottoscritto si sta ancora domandando se valeva proprio la pena rendere di dominio pubblico una sconcertante riunione d’affari in quel di Nashville.
RCA AHLI-3701 (Country Acustico, Old Time Music, Traditional Country, 1980)
Pierangelo Valenti, fonte Mucchio Selvaggio n. 39, 1981