Provo quasi una certa invidia nei confronti di alcuni miei cari conoscenti i quali, appassionati principalmente di un solo genere musicale, hanno possibilità, acquistando 5-6 ben selezionati dischi al mese, di sentirsi appagati, coscienti di riuscire ad avere il meglio che il loro genere musicale riesce a produrre. Io che amo in egual misura country, bluegrass, old-time, e anche rock e blues, questa fortuna non ce l’ho. La frustrazione di non poter mettere mano su bellissimi dischi è quindi grande. Una frustrazione che si fa sentire quando ricevo le news dalle etichette o sfoglio le numerose riviste alle quali sono abbonato, e dalle quali vengo a sapere dell’uscita di interessanti produzioni. Di country music, come sapete bene anche voi, la produzione è infinita, sia quella del passato (che bisogna necessariamente conoscere) sia quella delle nuove proposte. E Tim McGraw è una di queste, o meglio, lo è diventata.
Everywhere è il suo quarto disco, il primo che ho deciso di acquistare; avevo ascoltato in passato McGraw, ma non mi soddisfava pienamente: sia dal punto di vista vocale che compositivo e stilistico, la sua musica mi sembrava eccessivamente legata all’ambiente video-dance-charts, e pertanto un fenomeno di semplice consumo momentaneo.
Tutto questo non è cambiato, ma oggi con Everywhere la sua voce è matura, capace e personale, i suoni sono accattivanti e gli arrangiamenti vari e raffinati. Anche i testi sono buoni, considerando la media espressa dalle produzioni della grande industria discografica; canzoni principalmente d’amore, ben scritte da alcuni dei più validi autori professionisti di Music City. Everywhere è un ottimo disco, e lo si capisce subito dall’introduzione di fiddles di Where The Green Grass Grows, il primo potente pezzo del CD.
La seconda canzone, For A Little While smorza il ritmo ma non l’entusiasmo che il disco, si presume subito, riuscirà sempre a trasmettere. E’ così: sfilano i brani, tutti di alto livello, con poche cadute di tono – mi riferisco ad un paio di lenti episodi marcatamente easy, e a Hard On The Ticker, messa in piedi solo per i sempre più numerosi line-dancers che affollano le discoteche country -. Poche, ripeto, e non in grado di abbassare di molto quell’alto livello di intrattenimento che Tim e il suo staff sono stati capaci di realizzare.
I brani più coinvolgenti di Everywhere, a parere del sottoscritto, oltre al primi due d’apertura, sono la roccata Ain’t That The Way It Always Ends che può ricordare un Bob Seeger datosi al country; Just To See You Smile, semplice e di piacevole ascolto, con un banjo in sottofondo di contrappunto al ritmo ‘spazzolato’ di Lonnie Wilson e, tra i lenti, la splendida One Of These Days, pianistica, con ampio uso di archi, pedal-steels e chitarre acustiche, con la quale Tim dimostra di essere un vero Cantante e ottimo Interprete.
Trai i nomi che spero possano dirvi qualcosa, segnalerei quello dei due Duncan violinisti, Stuart (NBB) e Glen dei dispersi Lonesome Standard Time, poi Brent Rowan, gli steelers Sonny Garrish e Paul Franklin, Mark Casstevens inaspettatamente solo al banjo, il sempre grande Matt Rollings al pianoforte e, gradita ospite, Faith Hill in duetto con Tim in It’s Your Love.
CURB CURCD-039 (New Country, Country Pop, 1997)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 38, 1997