Parte con una piacevolezza melodica come è raro ascoltare da anni in un disco di Van Morrison, e cioè la title-track, un brano che si stampa in mente come accadeva nei dischi dell’irlandese tanti anni fa. Segno che Morrison, dopo il buon Back On Top, ha lasciato perdere certe elucubrazioni stilistiche, che francamente annoiavano e si ripiegavano su se stesse, segno di una pericolosa involuzione artistica. Down The Road invece è fresco, piacevole, accattivante come l’irlandese non riusciva a fare da tempo.
In certi brani (la bella Meet Me In The Indian Summer, un uptempo guidato da fiati e tastiere; l’intensa Steal My Heart Away; la divertente Choppin’ Wood) si respira l’atmosfera di The Band, la stessa che ispirava dischi come Moondance o Tupelo Honey.
Ed è questo il Van Morrison migliore. Piacciono anche What Makes The Irish Heart Beat, il rock blues di Talk Is Cheap, la malinconica The Beauty Of Days Gone By, con un soffuso accompagnamento d’archi, la jazzata Evening Shadows e la chiusura roots di Fast Train, dove, come nell’iniziale Down The Road, Morrison si lascia guidare da un pensosa armonica per poi accelerare l’intensità con un crescendo emotivo.
Sono solo due, alla fine, i brani che potevano essere evitati: una stucchevole e priva di mordente Georgia (sì, proprio il classico di Ray Charles) e la banalissima Whatever Happened To P.J. Proby (P.J. Proby era un musicista inglese piuttosto popolare negli anni Sessanta).
Voto: 7+
Perché: un buon Van Morrison, capace di passare con la miglior disinvoltura da ambientazioni roots al soul. E soprattutto una manciata di composizioni di ottimo livello.
Polydor 589 661-2 (Roots Rock, 2002)
Paolo Vites, fonte JAM n. 82, 2002