Il mondo è sempre più strano, andiamo frenetici ad esplorare smolltown in culo al mondo alla ricerca di diamanti sonici e li sbandieriamo orgogliosi di mostrare alla platea le polaroid che testimoniano l’esito della nostra accalorata inchiesta e non ci accorgiamo, ciechi come gatti appena nati, di piccole incommensurabili pepite che scintillano dietro l’angolo di casa.
I Beards sono fautori di un suono inzaccherato, torbido & scontroso, denso come pece liquida, un sound che ribalta le radici e mette insieme respiri by The Band con Nick Cave e Tom Waits accartocciando il tutto una spirale caleidoscopica e incarnano quel vecchio proverbio “nemo propheta in patria…” di chi si ritrova ad essere pressoché ignorato in casa propria mentre fuori consegue consensi e apprezzamento godendo di una affermativa reputazione.
I Beards arrivano dalla valle del Brenta e dalla laguna veneta, paesaggi dal carattere ritroso, prendono il via rifacendosi alla Band come guida spirituale e accolgono a bordo dei propri barrocci ribaltamenti blues e irsute sostanze folk, gamblers rock e spiritati predicatori biblici spacciatori di un tonificante unguento spaghetti-americana.
Il gruppo ruota attorno al polistrumentista Emanuele Marchiori (piano, organo, fisarmonica, armonica, banjo, batteria e voce) e a Max Magro (chitarra, basso e voce) a fianco dei quali si intervallano di volta in volta vari comprimari.
Già con l’esordio di Mephisto Potato Sauce stimolano attenzione: è una sorta di concept disc in lingua inglese che volta attorno al tema delle storie e delle leggende della campagna veneta; storie famigliari e canovacci contadini, reticoli di fame, di lavoro duro, di superstizioni e saggezze popolari; stagioni con il segno della croce prima del desinare e migrazioni per un’america che è sempre là pronta ad inghiottirti.
Mephisto viene pubblicato negli States ed esce anche in Australia, in Argentina, nel nord-europa e in Giappone. Seguiranno poi altri dischi tra i quali ricordiamo il valido Digging Fingers in cui la band paga il proprio tributo agli eroi giovanili inserendo esemplari cover di Dylan, Cash e The Band; Widmann’s Mansion: un eccellente lavoro prodotto da Aaron ‘Professor Louie’ Hurwitz, (già produttore di gente come The Band, Graham Parker, Commander Cody e Mercury Rew); la parentesi El Brigante in cui rielaborano leggende contadine in dialetto veneto. Una menzione particolare per lo scarlatto Muskito, un acquisto indispensabile e sapida colonna sonora dell’omonimo film australiano che vede la collaborazione in regia di Julien Poulson (già in pista con Nick Cave), il pervicace Spaghetti AmericanA nonché il white album Freak Town coprodotto da Jim Diamond (White Stripes); insomma: c’è più di qualcosa in pentola, vero?
Ora, dopo la randellata del Covid che ha mandato all’aria un già pianificato tour negli States e stoppato proposte multimediali a divenire, i giovanotti si apprestano nel nuovo anno a realizzare un paio di progetti già in cantiere; nel frattempo a celebrare l’anniversario dell’esordio lo ripubblicano in versione ampliata e totalmente remixata re-titolandolo Rosteo sensa sangue e altre leggende venete – Mephiso Potato Sauce. Il suono ne ha decisamente guadagnato in presenza e spazialità, il sound è sempre quello di cui si è detto in premessa: denso & corposo, rock & roots a tratti sbilenco e contaminato con folk gotico, con rustici angoli oscurati e apprezzate infrazioni bluesy alla Black Keys e, intrinsecamente, con la Band sotto la trapunta di lana.
Rosteo Sensa Sangue E Altre Leggende Venete è pieno di storie misteriose e personaggi leggendari: 23 tracks che rappresentano un altare innalzato al culto di un’epopea e una ruralità tutta veneto-padana, un album di fotografie seppiate in bianco e nero e una narrazione ricostruita attraverso le memorie e le leggende degli antenati; è un trend rauco, screziato e granuloso, che odora di cantine & vinacce, di cuoio & fieno e sferraglia come sonanti aratri imbizzarriti, che invita a frugare appresso gli incudini di un maniscalco rovistando tra chiodi sonici e cerotti ghotic, con un piano verticale, chitarre, echi di saloon & barrelhouse, bordelli del sud & ragtime su treni notturni in corsa sui binari del purgatorio… si prenda per esempio una storia per tutti, quella riportata ne Il Chinino: nasce dai racconti della nonna di Marchiori, di quando tra le due guerre lavorava in una fabbrica di mattoni e in quegli anni riuscire ad essere visitati da un medico era un’avventura se non un miracolo; il toccasana per qualsiasi malanno e la panacea di tutti i mali era proprio il chinino che i medici prescrivevano anche per far sentire meno i morsi della fame.
Oppure la novella di Rosteo Sensa Sangue (Bloodless Rake) che, aizzando pathos, agguanta la saga noir di un rastrello che di notte si anima in una creatura vampiresca in cerca di sangue: sottotraccia raffigura lo sfruttamento e la canzone racconta di un ragazzo che non capisce perché sua madre lo avvisi di stare lontano dal ‘rastrello’ fino a quando, crescendo, si rende conto di quanto i lavoratori siano sfruttati dal ‘padrone-rastrello’ che succhia la vita dal lavoro contadino, mentre la waitsiana ‘Umassa In The Distance brandisce la luce spettrale che i contadini non dovevano seguire nelle notti senza luna… una luce intimidatoria che appariva a distanza e se fissata troppo a lungo ti tallonava fino a casa.
Della cavernosa Mephisto Potato Sauce si apprezza l’impasto un po’ episcopale che evoca uno spaghetti western, è un po’ un omaggio sarcastico e cavernoso alla dura vita quotidiana dei contadini. Incarna un lato della fame e della disperazione, in cui una semplice zuppa di patate può diventare una tortura, il personaggio tenta di conquistare il paradiso, ma si ritrova nell’inferno del proprio stomaco; un traslato della fatica e della fame.
Tanto per capirci sono songs che vanno a trovare gli orti e le taverne e i fienili, rovistando nelle botteghe e nelle soffitte, come narrazioni trasversali della gente del borgo o lungo traballanti tragitti dei briganti del Brenta, Martorei’s Hour parla dei ‘Martorei’, figure mitologiche metà uomo e metà martora, che apparivano nelle ore più calde del giorno. Nel testo, il personaggio della madre avverte i bambini di non uscire a mezzogiorno, perché “l’è l’ora dei martorei”.
Questo brano incarna il pericolo nascosto della campagna veneta, che poteva essere crudele, soprattutto per i bambini. È una sorta di avvertimento a rispettare la natura, che può essere tanto bella quanto letale.
Biggest Corn Field/House In Flames e Whistle sono una didascalia nell’immaginario della campagna veneta: un uomo che corre nei campi di mais, inseguito da risate sinistre e forze senza identità, una scena che potrebbe sembrare un incubo e il “fischio dell’aria” un’ombra che da l’impressione di braccare il soggiogato, insinuandosi nella sua mente recando un messaggio che non può comprendere.
Nella nuova edizione Marchiori & Magro hanno cercato di ricostruire un percorso temporale di tutto quello che è successo attorno a quel disco allegando tracce che accompagnano quel percorso: Wheel’s In Fire proviene da una registrazione in uno dei club dove suonavano ossia il Brewing Station a Kill Devil Hills in Nord Carolina, il country sgangherato di Cocaine Blues recording at Tootsies Orchid Lounge in Nashville, un posto proprio di fronte al Ryman dove hanno suonato davvero tutti i nostri miti; qui l’incisione live è come qualità quella di un buon bootleg, ma cattura pienamente la prestanza dell’esibizione; c’è una bella versione live con intro pianistico di Mephisto Potato Sauce rallentata con una coda psichedelica, da sola vale l’acquisto; ma anche brani inediti, live version e stuzzicanti chicche da scoprire.
Devil’s Fork (Roots Rock, Alternative Country, 2024)
Claudio Giuliani, fonte TLJ, 2025