Jerusalem è un disco nato in fretta, col bisogno di bruciare in qualche nota rovente di chitarra la confusione, i dubbi, la fatica di essere, oggi, nel terzo millennio, americani. È un disco che ha più valore per i suoi testi che per la musica. Si sente che Earle ha registrato in poche session, probabilmente anche a corto di canzoni. È un disco ferito e a tratti disturbante in cui manca l’incredibile freschezza melodica che aveva caratterizzato il suo ritorno negli anni Novanta, specie quella presente abbondantemente nel bellissimo Trascendental Blues.
Non che sia un brutto disco, ma i brani si assomigliano un po’ tutti: un rock blues a tratti fin troppo pesante, con giri armonici ripetuti in modo ossessivo: Ashes To Ashes, Amerika V. 6.0. (con il riff rubato a Jumpin’ Jack Flash degli Stones), Conspiracy Theory (comunque il brano migliore, un funk con un bell’innesto di voci femminili, decisamente black).
John Walker’s Blues, il brano più importante del disco, è una blues ballad, dal taglio classico, dove, è ovvio, ciò che conta sono le parole. The Kind è un piacevole intermezzo, una folk ballad dall’incedere tipico del cantautore; What’s A Simple Man To Do assomiglia a certe cose dei Dire Straits più poppettari: abbastanza inutile. The Truth è ancora un folk blues sostenuto dal banjo ma senza guizzi vincenti, mentre Go Amanda (scritta insieme a Sheryl Crow) è un bel rock di stampo classico dove è evidente il contributo di Sheryl; I Remember You (con Emmylou Harris) annoia semplicemente; Shadowland ha qualche bel guizzo in chiave pop mentre la conclusiva title-track è una splendida ballata dall’incedere dylaniano, che conclude con una nota di ottimismo un disco involuto.
Artemis Epic 751147 (New Traditionalists, Roots Rock, Singer Songwriter, Country Rock, 2002)
Paolo Vites, fonte JAM n. 86, 2002
Ascolta l’album ora