E’ uno dei mille tributi che da qualche tempo i negozianti di dischi espongono sui loro scaffali, sicuri dell’interesse del pubblico e sicuri anche che le etichette che li hanno prodotti abbiano fatto cosa giusta inserendo in un unico disco personaggi famosi, anche se diversi tra loro, a celebrare qualche mostro sacro che ha spezzato milioni di cuori in passato o mostri sacri che continuano a spezzarli ancora oggi. Penso al tributo ai Lynyrd Skynyrd, a Elvis, a Merle Haggard o a quello dedicato agli Eagles. Caratteristica di queste raccolte, ed altre ancora qui non citate, è l’assemblamento di un buon numero di artisti country, spesso a determinare la maggioranza di quelli presenti. Queste operazioni commerciali conquistano l’attenzione dei fans dell’artista celebrato, degli artisti che si dividono le tracce del disco (si può ancora dire ‘tracce’!), ma il loro merito più grande è quello di far conoscere artisti rock ai country fans e artisti country ai fans del rock.
Tant’è che si può subito riscontrare che le canzoni eseguite, a parte qualche sporadico caso, non sono mai troppo country o troppo rock, e comunque non sono mai troppo stravolte, insomma devono piacere a tutti, ma proprio a tutti…! Mi viene in mente, giusto per fare un esempio, le versioni di All Shook Up o di Get Rhythm (la prima fu di Elvis, la seconda è di Johnny Cash) proposte anni fa da Ry Cooder, completamente snaturate e stravolte, rovesciate come un guanto, così stravolte che trasmesse alla radio mi procurarono un paio di telefonate di protesta di rockabilly evidentemente fermi agli anni ’50 anche con la testa.
Questo soltanto a spiegare che, probabilmente, le cover possono essere completamente modificate, fino a farle rinascere a gusto e sensibilità dell’artista che le ripropone, solo quando è l’artista in questione a prendersene tutta la responsabilità inserendole in dischi a suo nome. Così, spesso succede che queste cover contenute nei ‘tributi’ siano sfacciatamente simili all’originale. Mi riferisco ad esempio a Think It Over, dove la voce di Steve Ripley dei bravi Tractors è davvero troppo simile al compianto Buddy. O alla versione di Maybe Baby eseguita dalla Nitty Gritty Dirt Band, l’episodio più banale dell’intero disco.
E persino Learning The Game, messa lì a chiudere il compact con l’intenzione di commuovere i più sensibili, cantata guarda caso da Waylong Jennings che fu, per chi non lo sapesse, il bassista dei Crickets, rischia di sembrare ai più uno dei pezzi meno interessanti.
Il resto va bene, anzi benissimo: ottimi i Mavericks in True Love Ways con un Raul Malo in perfette condizioni; brava Nanci Griffith con Well… All Right giustamente elettro-acustica; i più oltraggiosi si sono dimostrati i lupacchiotti Los Lobos che, alle prese con Midnight Shift, hanno coraggiosamente dimostrato di possedere grande personalità; Not Fade Away, riproposta in maniera piuttosto fedele dalla Band, è diventato un pezzo della Band; Wishing è cantata in duetto da Bob Montgomery e Mary Chapin Carpenter, bella, molto bella, ma non entusiasmante; Joe Ely e il giovane Todd Snider fanno scintille con Oh Boy!, violenta e contenuta allo stesso tempo, almeno fino a quando non entrano in azione le chitarre distorte, allora prende davvero il volo; introdotta da un minuto di slide blues guitar da Marty Stuart, Crying, Waiting, Hoping si rivela uno dei momenti più alti del CD. In duetto con Steve Earle, Marty è grande come al solito, e Steve si supera, in una canzone dal testo semplice, magari anche banale, ma senza tempo, bellissima; altro episodio di alto livello è quello regalatoci da Suzy Bogguss che fa diventare It Doesn’t Matter Anymore una veloce e squisita canzone in puro stile country.
Tutto qui, e scusate se è poco. Il disco è consigliato a tutti, perché per tutti è stato pensato. E Buddy Holly riposi in pace.
MCA MCD-11260 (Country Rock, Country Pop, Traditional Country, 1996)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 33, 1996)
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