Alcuni appunti sulla Chitarra Acustica nel Rock

“Si può giudicare un chitarrista anche dalla maniera in cui tiene in mano una chitarra acustica”, parole queste di un Keith Richards che ha sempre inserito il sound dell’acustica nell’economia musicale degli Stones, e ultimamente proprio nel suo recente album solista; ma cosa c’è di vero nelle sue parole? Difficile dirlo. Difficile (ma non impossibile) giudicare un chitarrista dal modo in cui tiene la chitarra, cosa questa assai importante; sicuramente inserire l’acustica nel rock non è cosa semplice, e non lo è soprattutto quando si rispetta il rock e la sua evoluzione tralasciando quella zona ampia, complessa e ricchissima di musica che oggi rientra in una definizione di rock troppo dilatata. In un suo vecchio articolo Ed Shilling scriveva su Frets: “La storia della parte acustica del rock and roll è virtualmente la storia stessa del rock”, e questo è profondamente vero; pensiamo alla grande varietà di stili e forme musicali da cui il rock è nato, o che esteticamente hanno definito la sua struttura: si va dal bluegrass al country, dal blues al rhythm and blues, dal gospel fino all’ampia zona denominata folk; alcuni di questi ‘generi’ musicali hanno proprio nel sound acustico la loro matrice espressiva, ed inevitabilmente questa è finita per entrare in modo più o meno sotterraneo nel rock.

Il problema forse ancora inestricabile è però proprio quello di una definizione del termine ‘rock’, e soltanto dopo un tentativo di darne una sistematizzazione (oggi peraltro ancora limitata e ristretta, perché il rock sembra continuamente voler sfuggire non tanto ad una definizione musicale e strutturale o estetica, quanto alla possibilità stessa di accettare confini), si potrà valutare ed esaltare il lavoro di quei chitarristi che con caparbietà e costanza hanno operato la scelta di non tralasciare il sound acustico, fondendolo con quello della chitarra elettrica.
Oggi la tendenza è quella che porta a definire una zona musicale ampissima come ‘rock’: è rock anche musica che ha già denominazioni precise. E’ rock il punk o la new wave, è rock l’heavy metal o l’hard rock, ma anche il rockabilly o il southern rock, la musica west coast e l’ampia zona rock-blues, ma forse ci si dimentica che la musica rock, pur rientrando forse per definizione in questa forma, è ben altra cosa; individuare cosa sia esattamente è impresa ardua, ma in sintesi i nomi da fare in un ipotetico albero genealogico sono pochi: Elvis Presley, Chuck Berry, Rolling Stones, Who, Led Zeppelin; certo sono pochi nomi, ma essenziali. Il resto, dai Beatles a Hendrix, dai Cream fino ai Police o agli U2 rappresentano soltanto elaborazioni del rock, tentativi se vogliamo di superamento o, come nel caso degli U2, di aggiornamento, ma siamo lontani dal rock.

Cosa c’entrano i Beatles con il rock? Probabilmente nulla, la loro era una pop music di grande classe costruita — non lo dimentichiamo — con l’apporto decisivo e per molti aspetti limitante di un arrangiatore: George Martin. I Cream hanno indicato al rock delle vie praticabili? A parer mio il loro è stato un discorso nato e chiuso all’interno della loro stessa sigla: Cream.
Cosa dire di Hendrix? Troppo è stato scritto e detto; sicuramente ha operato una rivoluzione, ma un fatto come questo non sempre deve essere visto come necessariamente positivo, va giudicata invece l’influenza che ha avuto sulla musica rock, e questa non è poi stata determinante, anche perché in realtà il vero rock ha subito modificazioni minime legate più che altro al sound ottenuto e, negli anni, al sound ottenibile tecnologicamente; in realtà tra Carol di Berry, The Last Time degli Stones, My Generation degli Who e Black Dog degli Zeppelin, la differenza non è troppa. Ecco, il rock è continuità, piccoli inavvertibili spostamenti, tentativi subito ripresi di fuga in avanti; il resto è altro, è country rock, heavy metal, new wave o punk, e pur riconoscendo in questa forma una sorta di origine comune legata al rock, è necessario stabilire che stilisticamente un abisso divide le intuizioni di Berry da quelle di Tom Verlaine o Malmsteen.

Questa breve introduzione voleva tentare di chiarire la zona in cui il discorso sulla chitarra acustica nel rock va elaborato, altrimenti il rischio è quello di citare tutto e tutti indistintamente, mentre è essenziale chiarire che si vuole parlare soltanto di quei musicisti e di quei brani che vivono e prendono luce dall’uso della chitarra acustica, di quei brani che privati dell’apporto acustico perderebbero identità, forza e probabilmente eleganza.
Che la chitarra acustica sia parte a volte fondamentale della musica rock, lo si può capire direttamente dalla origine stessa di questa musica: quando ai Sun Studio di Sam Phillips Elvis incide That’s All Right Mama, la formazione vede Scotty Moore alla solista, Bill Black al contrabbasso e Elvis alla sei corde acustica. In un `semplice’ strumming, che però definisce impressionantemente le leggi di un certo modo di fare rock, buona parte del primo repertorio di Presley è caratterizzato dal suono dell’acustica, e la sua stessa immagine non è certo separabile dalla Gibson J-200 che oggi molti chiamano la chitarra di Elvis.
Per maggiore chiarezza è giusto sottolineare che questa escursione nel mondo della chitarra acustica non ha come scopo quello di scoprire e indicare talenti sconosciuti o sottolineare virtuosi dello strumento, ma soltanto indicare alcuni di quei musicisti che hanno scelto a volte di affidare la loro visione del rock alla chitarra acustica.

Anche nel periodo RCA Presley continuò ad inserire la sua acustica, con strumenti come la Martin D-18. La musica rock intanto cominciava ad espandersi in modo capillare, e se da un lato c’era un filone elettrico, di cui Chuck Berry è stato il maggiore esponente, il sound acustico manteneva le sue posizioni con Buddy Holly e con gli Everly Brothers.
Il primo Holly era un artista molto legato al suono acustico anche se poi sarà proprio lui a divulgare la Stratocaster. All’inizio della sua carriera Holly appariva con diverse chitarre acustiche: una Harmony flat-top, una Epiphone flat-top o una Gibson J-45; dopo i primi successi passò alla Gibson J-200 ed alla Guild F-500.
Se con Holly già siamo in una dimensione rock quantomeno compromessa con il pop, sicuramente negli Everly Brothers questo spostamento del rock è più avvertibile, ma possono rientrare in questa breve escursione soltanto perché il loro successo convinse la Gibson a creare un modello flat-top denominato proprio Everly Brothers, uno degli strumenti allora più ambiti e tutt’oggi molto ricercati.
Con la fine degli anni cinquanta, il rock visse un periodo di enorme confusione formale: da un lato gli eroi del rock targato fifties erano come scomparsi: Elvis Presley si era spostato verso una dimensione pop apertamente dichiarata, Buddy Holly, Gene Vincent, Eddie Cochran erano morti, il grande Chuck Berry travolto da una serie di scandali era prima sparito dalla circolazione e poi finito in prigione; soltanto con l’avvento dei Beatles si poté rivivere un nuovo fermento rock, ma i quattro baronetti in realtà del vero rocker avevano poco, e soprattutto andavano a pescare in una zona rock ambigua come quella di Carl Perkins, che ebbe una grande influenza sulle loro prime incisioni.

Con il primo LP dei Rolling Stones il rock trova invece una sua precisa e decisiva evoluzione: nelle mani di Keith Richards e Brian Jones il rock di Chuck Berry acquista una dimensione matura, una dimensione anni sessanta, una dimensione che sarà poi quella che ancora oggi è possibile `leggere’ in quegli artisti che intendono il rock in modo semplice, lineare, fedele, senza cercare di dilatare la sua forma originaria che prevede una armonizzazione elementare, una sezione ritmica essenziale ed una linea melodica semplice.
Gli Stones, assieme agli Who e successivamente agli Zeppelin, diranno molto sul rock, quasi tutto. E non è un caso che i chitarristi di questi gruppi abbiano sempre avuto un rapporto costante e precisamente definito con la chitarra acustica. Nelle loro incisioni del primo periodo, Richards e Jones hanno sempre inserito l’acustica, e anche se il legame con una forma rock antecedente poteva essere individuato, ben presto gli Stones trovarono una loro via all’inserimento acustico, e un album come Aftermath lo dichiara apertamente. Ma è con l’avvento di Richards all’interno del ‘potere’ che l’acustica ottiene quella definizione che fa di Richards uno dei personaggi più importanti di questa zona della storia del rock. Street Fighting Man è incisa con sole chitarre acustiche, di cui una è stata incisa su un registratore portatile a cassette Philips e poi riversata sul master.

Con l’album Beggars Banquet inizia in maniera più ‘studiata’ l’avventura acustica di Richards, che proseguirà fino ad alcuni brani del suo Talk Is Cheap. La ricerca sulle accordature aperte (Street Fighting Man era eseguita con la chitarra in RE aperto) porterà Richards all’uso del Nashville Tuning, all’accordatura in SOL aperto sia a cinque corde che a sei; ci saranno classici del rock come You Can’t Always Get What You Want che vivranno sull’acustica. Comunque, anche se molti brani hanno una loro definizione propriamente elettrica, alcune canzoni degli Stones avranno sempre un sound acustico sotterraneo ma costante, e questo vale per esempio per Brown Sugar. Tralascio volutamente l’aspetto country di Richards, nato e sviluppatosi dopo l’incontro con Graham Parsons, e quindi brani come Wild Horses o Sweet Black Angel. Le chitarre acustiche che hanno caratterizzato il sound degli Stones non sono state molte, in linea di massima la chitarra degli Stones è stata la Gibson Hummingbird, soprattutto dal periodo Beggars Banquet fino a metà degli anni settanta, ma è probabile che già in Between The Buttons avessero abbandonato le Harmony e le Guild sia a sei che a dodici corde, con cui sia Richards che Jones erano intervenuti `pesantemente’ nel periodo che va dal loro esordio fino ad Aftermath.

Oggi c’è stato uno spostamento verso le Martin, e sia l’ultimo LP degli Stones Dirty Work che Talk Is Cheap di Richards, oltre a recuperare appieno il vecchio gusto per l’inserimento dell’acustica, hanno rispolverato soprattutto le vecchie Martin di Keith.
In Pete Townshend l’uso dell’acustica non è solo un momento di definizione, ma sta alla base stessa della musica Who, o almeno di alcuni periodi della loro musica.
Questo articolo non prevede analisi dettagliate, ma solo indicazioni, quindi l’invito è quello di ascoltare Tommy per rendersi conto dell’importanza che la chitarra acustica ha avuto in quest’opera che si sviluppa in settantacinque minuti di musica: Pinball Wizard o Tommy sono esempi classici del Townshend acustico e della sua tecnica fatta di strumming che si trasforma in una sorta di rasgueado. Anche per lui, come per Richards e per Page, l’acustica significa esplorazione del mondo delle open tuning, ma a differenza del chitarrista degli Stones o dei Led Zeppelin, Townshend lavora sulle accordature aperte soprattutto in brani che non hanno caratteristiche rock; molto interessante l’arrangiamento per sola chitarra acustica di tre suoi brani proposti durante un concerto per Amnesty International e pubblicati sull’album The Secret Policeman’s Ball: i brani sono Pinball Wizard, Drowned e Won’t Get Fooled Again. Ma anche su Scoop ed Another Scoop, i due LP che contengono i provini privati di Townshend, c’è molto lavoro acustico.

Terzo, ma certo non ultimo, tra i chitarristi che hanno espresso nella loro musica un aspetto acustico, è senz’altro Jimmy Page. La sua influenza sulla musica sia hard che heavy è impressionante. Se Page è uno dei chitarristi più importanti sul versante elettrico, certo non è da sottovalutare il suo apporto all’inserimento del sound nell’economia della musica dei Led Zeppelin. Anche per lui come per Richards non è il caso di soffermarsi su brani di origine o influenza folk e country, ma è in questo senso che si devono valutare pezzi come Over The Hills And Far Away, brani tipicamente rock, risolti appunto in chiave acustica. Per Page, ma anche per Townshend, c’è poi da sottolineare l’uso di altri strumenti acustici, il banjo in Squeezebox (The Who By Numbers), The Battle Of Evermore, Going To California, con Page alle prese con il mandolino. Forse non sono esempi caratteristici della forma rock, ma lasciano intuire l’importanza che la ricerca sul sound acustico ha avuto per il chitarrista dei Led Zeppelin. Potremmo poi citare la perfetta fusione tra acustica ed elettrica su un classico come Starway To Heaven, ma il discorso qui si sposta sull’influenza che Page ha avuto soprattutto su una scena heavy (o hard?) che oggi cita Bon Jovi, Poison, ma anche i Guns N’ Roses, che di recente hanno proposto in chiave acustica quattro brani che certo hanno fatto `riscoprire’ il gusto per un certo modo ‘artigianale’ di fare rock.

Analizzando il terzo LP degli Zeppelin, il discorso si sposta inevitabilmente sull’influenza che la chitarra acustica ha avuto sul rock, e non più su come questa musica sia stata elaborata in chiave acustica. La chitarra acustica ha una tradizione ampia ed importante ed ha espresso da sempre vari stili, dal blues al country al folk. Dal blues e da alcuni esponenti storici come Robert Johnson, Bukka White, John Lee Hooker, molti chitarristi hanno preso spunto ed ispirazione, e d’altronde la componente blues nel rock non può essere certo sottovalutata; ma ecco che bisogna rifarsi ancora a Page per vedere come questa influenza sia poi stata interpretata in chiave rock, o semplicemente riproposta in chiave moderna.
L’importanza di Page appare poi decisiva anche in un ambito musicale che ha subìto l’influsso della musica folk, e basti citare White Summer del periodo Yardbirds, o Black Mountain Side; certo il folk ha dato molto alla storia della chitarra acustica, e qui i nomi da fare sarebbero tantissimi; si potrebbe citare, al di là della tradizione, Crosby Stills Nash & Young, alcune cose degli Allman Brothers, gli Eagles, i Doobie Brothers, ma veramente questa è un’altra storia che necessiterebbe di altri spazi.

Una curiosità potrebbe essere quella che riguarda Jeff Beck, probabilmente il chitarrista rock-blues-fusion più geniale e tecnicamente sempre pieno di imprevedibili aperture sul futuro: notoriamente restio ad affrontare l’acustica, una delle rare occasioni in cui è possibile ascoltarlo alle prese con una chitarra non elettrica, è in Truth, in un classico come Greensleeves, e più recentemente in un inusuale assolo acustico in Just Another Night, dall’album She’s The Boss di Mick Jagger.
Parlare di folk costringerebbe poi ad un discorso molto dettagliato in termini geografici; molto dettagliato perché non si potrebbe fare a meno di osservare le differenze armoniche e melodiche tra il folk americano e quello inglese o celtico.
Se la storia (in realtà breve ed affidata a pochi nomi) dell’acustica nel rock può essere datata soprattutto negli anni sessanta, negli anni ottanta va individuato il fenomeno — ancora tutto da valutare — dell’influenza della cultura classica su un certo virtuosismo tipico di alcuni chitarristi heavy metal. Da Randy Rhoads in Dee a Malmsteen in Black Star fino al Van Halen di Spanish Fly, la storia del recente heavy (o meglio di una zona del recente heavy) cita una cultura classica innegabile, un avvicinamento al virtuosismo che certo non deve essere letto soltanto in chiave acustica (vedi citazioni fatte), ma anche in chiave elettrica.

Si può continuare quasi all’infinito ad offrire legami tra sound acustico e musica solo generalmente definita rock, gli esempi sono tantissimi, ma c’è anche un’area diversa che ha affidato all’acustica la propria definizione sonora: nel jazz John McLaughlin, Larry Coryell e poi in zone di difficile definizione Al Di Meola, Bill Connors, Ralph Towner e tantissimi altri.
Rimane però il discorso iniziale: in questa sede si vuole soltanto ricercare quei chitarristi o quei brani che nel rispetto totale della forma rock sono stati espressi in chiave acustica, e gli esempi non sempre sono facili perché vanno ricercati — come nel caso di Stephen Stills — in opere ampie e complesse, spesso neanche costruite in chiave rock, ed è il caso di Black Queen da Stephen Stills (1970), in cui il chitarrista ha dato vita ad un brano rock in pieno sound acustico.
Come dice chiaramente il titolo di questo articolo, questi non vogliono essere altro che appunti, non si vuole fare la storia della chitarra acustica nel rock, ma individuare pochi nomi; e sicuramente ci sono stati e ci saranno altri chitarristi che hanno lavorato in quella direzione. La povertà di nomi va ricercata anche in uno spazio di analisi che cita essenzialmente gli anni sessanta; storicamente ci sono stati degli spostamenti anche stilistici che hanno frantumato e disperso il vero senso del rock: tra rock romantico, disco-music, punk, new wave e una parallela crescita tecnologica irrefrenabile che ha portato al guitar synth, la chitarra acustica, pur rimanendo unico mezzo per molte forme d’espressione, ha subito una sorta di `copertura’, di negazione, proprio perché la musica si è spostata verso l’elettrico.

E’ indubbiamente difficile parlare di chitarra acustica e non citare Leo Kottke, John Renbourn, Steve Howe, Ry Cooder, Bert Jansch, John Fahey, Paul Simon, John Martyn, Nick Drake o David Lindley e tanti altri ancora, ma ci si renderà subito conto che per questi come per altri splendidi strumentisti, il termine rock risulta quantomeno improprio; il rock per definizione è una musica elettrica, nata anche dall’evoluzione avvenuta negli anni quaranta e cinquanta: questa breve indagine e questi appunti tracciano solo una specie di linea su cui continuare a ricercare.
Citare solo tre chitarristi (Richards, Townshend e Page) però non deve essere visto come limitativo: molti altri musicisti (tutti quelli che si sono avvicinati all’heavy hanno ripreso da Page la maniera stessa di fondere l’acustica all’elettrica) si sono ispirati (per alcuni il termine è benevolo, per altri sarebbe meglio dire ‘hanno copiato’) a questi tre chitarristi.
Certo la storia del rock e della sua zona acustica potrà essere ampliata ed approfondita, ma sinceramente non credo che si possa trovare un personaggio di notevole livello che si sia espresso con continuità rapportabile a quanto Richards, Townshend e Page hanno soprattutto dato con precise regole formali, intenzioni musicali dichiarate, volutamente elementari e ripetitive.

Giuseppe Barbieri, fonte Chitarre n. 39, 1989

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