Un disco profondamente triste e musicalmente eccelso. Questo può essere, in estrema sintesi, il giudizio su Blood On The Tracks, quello che per molti è il capolavoro del Dylan anni settanta e per alcuni è anche il suo ultimo lavoro degno di entrare nell’Olimpo. E fin qui si può intuire perché lo si possa giudicare eccelso, mentre la tristezza è tutta da cercare nel modo di cantare di Dylan e nella disillusione dei suoi testi, permeati dall’insuccesso personale, dovuto alla fine del matrimonio decennale con Sara Lownds. Rimarranno ancora assieme un anno circa, ma la fine è già segnata e questo disco la sottolinea.
Naturalmente la tristezza non basta a fare un grande disco, ci vogliono le grandi canzoni e Blood On The Tracks ne contiene almeno più di metà sublimi e il resto di buon valore. Personalmente credo sia il migliore lavoro di Dylan da Blonde On Blonde, anno del Signore 1966 e uno dei suoi must assoluti.
Le prime quattro canzoni dell’album sono pressoché perfette! Tangled Up In Blue è, a discapito del titolo, una canzone rabbiosa, più che triste. Dylan la canta come se il mondo gli stesse crollando addosso; l’intreccio di chitarre e il ritornello immediato la rendono infallibile. Simple Twist Of Fate smorza un po’ i toni, ma rimane meravigliosa. Il destino (amaro) è quello che porta Sara lontano da lui e lo si percepisce dalla voce sofferta e dall’armonica lancinante. You’re A Big Girl Now è più spanish e desertica, ma non meno intensa; quegli ‘oh, oh’ di Dylan segnano nel profondo. Si chiude il cerchio iniziale con Idiot Wind, la canzone che ho sempre reputato degna di essere affiancata a Blowin’ In The Wind e a Like A Rolling Stones perché assomiglia alla prima nella tematica, in quanto in entrambe il vento è protagonista (ma mentre in Blowin’ In The Wind il vento è portatore di risposte ai mille quesiti umani, in questo caso invece ha una connotazione negativa, è menzognero, proprio come egli reputa essere la sua donna). Mentre a Like A Rolling Stone assomiglia per quell’Hammond che le dà un senso di rock anthem anche se Idiot Wind commercialmente non avrà lo stesso successo. Idiot Wind è un capolavoro sottovalutato, ma cristallino di quasi 8 minuti che, a mio parere, mette a tacere una volta per tutte chi considera Dylan un mediocre interprete.
Segue un terzetto di brani di derivazione country e blues molto valido, ma inferiore agli esordi. Country sono You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go, brano breve e leggerino che serve per allentare la tensione dopo Idiot Wind, e Lily, Rosemary And The Jack Of Hearts, canzone chilometrica, nel testo e nella durata, che sembra anticipare i temi trattati nel successivo album Desire e nel tour zingaresco Rolling Thunder Revue. Di derivazione blues invece è Meet Me In The Morning, un brano valido che ricorda vagamente la Band di Robbie Robertson (o di Dylan?) soprattutto nel drumming, ma che soffre di una slide poco incisiva e di effetti di studio un po’ troppo marcati.
Decisamente meglio sono gli ultimi tre brani. If You See Her Say Hello torna alla tematica regina dell’album: il rapporto con Sara, e ha un testo toccante e una semplicità musicale realmente disarmante. Il penultimo brano è uno dei più conosciuti di Dylan, ovvero Shelter From The Storm, brano in cui è ancora il rapporto con la moglie a farla da padrone, sebbene rappresenti un po’ di luce (fioca, per la verità) in fondo al tunnel. È il miglior brano country dell’album e rappresenta un’altra perla del catalogo del poeta di Duluth.
Si chiude con Buckets Of Rain, un tenero acquerello amoroso che chiude in punta di dita un disco da 5 stelle (e medaglia).
Columbia 33235 (Singer Songwriter, Country Rock, Country Folk, 1975)
Fabrizio Demarie, fonte TLJ, 2005
Ascolta l’album ora