John Wesley Harding ha un grande difetto: è stato pubblicato dopo tre dischi immensi come Bringing It All Back Home, Highway 61 e Blonde On Blonde e ha la colpa di essere solo un gran bell’album e non un prodotto di un marziano, come invece sono gli altri tre.
Si può capire meglio il perché ricapitolando i fatti di quel periodo. Dylan, nel 1966, era realmente un Dio, era al massimo della popolarità e produceva opere geniali e altamente innovative. Però, sin da quando pochi mesi prima aveva sputato nel piatto del folk e fino all’incidente motociclistico da cui era uscito piuttosto mal ridotto e che lo aveva costretto all’anno sabbatico di (apparente) inattività, Dylan aveva vissuto troppo intensamente. Col senno di poi si può dire che la moto, che quasi lo aveva ucciso, in realtà gli aveva paradossalmente salvato la vita, perché il ritmo di quel periodo non era assolutamente sostenibile, neanche dal Sig. Robert Zimmerman.
Nell’anno trascorso a riposo, dunque, Dylan ha preso la vita con maggior calma e ha realizzato The Basement Tapes con The Band, che vedranno la luce solo dieci anni dopo, e questo John Wesley Harding, un album che riflette appieno la quiete in cui è stato concepito.
John Wesley Harding segna un coraggioso ritorno alla musica tradizionale americana, ma non in senso strettamente folk come i dischi pre-Newport, ma più in un senso che oggi definiremmo ‘roots’, ovvero delle radici americane. Inoltre questo è anche il primo disco religioso di Dylan, antesignano della sbornia di fine anni ‘70 ed è un disco senza singoli. Infatti, a parte I’ll Be Your Baby Tonight che avrà uno po’ di successo, non si possono rilevare canzoni da classifica soprattutto in un anno come il 1967 dove era la psichedelia californiana a spopolare, e anche perché All Along The Watchtower, qui presente nella sua versione originale, è tutto fuorché ricordata nella versione del suo autore, bensì in quella ben più riuscita ed elettrizzante di Jimi Hendrix.
Il disco si apre con la title track, un anonimo country, ben presto caduto nel dimenticatoio e prosegue con As I Went Out One Morning, gradevole e con un testo tra il trobadorico e il western. Molto meglio è I Dreamed I Saw St. Augustine che inizia quel viaggio personalissimo nel mondo religioso. Si tratta di un pezzo estremamente pacato e di gran forza, un gospel senza esserlo. Di All Along The Watchtower si è già detto, aggiungo solo che dopo Hendrix nemmeno Dylan la farà più così, sebbene questa versione sia tutt’altro che malvagia. Siamo ancora ad alti livelli con The Ballad Of Frankie Lee And Judas Priest, una western ballad con un finale tragico e una morale pesante. Altro testo simbolico come la successiva e magistrale The Drifter’s Escape in cui Dylan canta veramente bene e ci regala uno dei brani migliori dell’album.
Dear Landlord è un gospel, Dylan-style direi, con lo stesso Bob al piano (e, ahinoi, si sente!) e un testo biblico e decisamente ben interpretato. La serie d’oro continua con I’m A Lonesome Hobo e I Pity The Poor Immigrant, canzoni che parlano di una vita ai margini. Si continua con i due minuti scarsi di Wicked Messanger, ovvero come tra chitarre blues e ritmica country, Dylan è in grado di confezionare un’interpretazione musicalmente impeccabile, con Down Along The Cove, un brano riempitivo, noiosetto, vagamente modaiolo e con un Dylan veramente terribile al piano, e la già citata I’ll Be Your Baby Tonight, una country love ballad che si ricorda (e ha avuto successo) perché è una delle poche canzoni del disco con un ritornello facile ed orecchiabile.
Un disco estremamente valido che può esserlo ancora di più se lo si considera senza farsi influenzare dai tre suddetti mostri sacri che lo hanno cronologicamente preceduto, sennò…
Columbia 9604 (Singer Songwriter, Country Folk, Folk, 1975)
Fabrizio Demarie, fonte TLJ, 2005
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