Una volta, diversi anni fa, quando si entrava in un negozio di dischi era come accedere ad un santuario, in punta di piedi, in ginocchio, in religioso silenzio, e poteva capitare di tutto. Il mio pellegrinaggio sul ‘Cammino di Santiago di Compostela’ contemplava il più modesto triangolo Milano-Novara-Varese ma le emozioni erano le stesse, stessi brividi, stesse imprevedibili aspettative. Si varcava la soglia e ci si trovava al cospetto di icone multicolori in cartone e vinile di centimetri 31,5 x 31,5, gli oggetti del desiderio. In qualche caso si aveva l’opportunità di saggiare l’anteprima, molto più spesso, trattandosi di LP d’importazione americana, e quindi sigillati, la possibilità era preclusa e si acquistava a scatola chiusa, ma con una temerarietà, un coraggio ed addirittura un vanto oggi del tutto sconosciuti quanto incomprensibili ai contemporanei. Si salutava (e ringraziava) uscendo con una busta di plastica tipo supermercato ma con tutte le caratteristiche della lampada di Aladino, un tesoro, potenzialmente capace di indicibili gioie a cui la mente costantemente ed insistentemente andava lungo il tragitto fino a casa.
Si manipolava il disco ancora vergine assaporando non l’odore ma il profumo di cartone, vinile e colla, diverso a seconda della provenienza (e che rimarrà per l’eternità alla faccia di polvere, fumo di sigaretta ed agenti atmosferici avversi) e si depositava con ogni riguardo sul piatto del giradischi proseguendo il rito sacro appoggiando la puntina nello spazio libero ad un paio di millimetri dai solchi, una sorta di comunione mistica ed un esorcismo liberatorio. Con le prime note iniziava la seconda parte della funzione, l’esame minuzioso, parola per parola, di quanto riportato sulla back cover, il cui contenuto non raramente rappresentava un vero e proprio tesoro in sé: le famose ‘note di copertina’, una più o meno breve presentazione scritta dal produttore o da un amico (molte volte illuminante); cenni sull’artista o la formazione del gruppo; i ‘credits’ letti ed assimilati come una specie di rosario; i titoli dei brani subito mandati a memoria; l’autore materiale del manufatto, le pubblicità o il prezzo stampati direttamente sulle covers (chi si ricorda le mitiche Grafiche Dotti di Cernobbio, responsabili di un numero incredibile di copertine, originali o riprodotte? O il tanto decantato Emitex, il liquido per la pulizia delle tracce? O ancora ‘Lire 2200 Ige compresa’ su un best degli Animals?).
Che tempi! Adesso esci dal negozio con una confezione che sembra un cartoccio di caldarroste o di pesciolini fritti, dentro una cosa asettica e inodore, quasi un surgelato; arrivi a casa, scarti il tutto, ti girano subito le palle notando il bollino della Siae incollato in una posizione delle più deficienti, butti il dischetto nel lettore (buttare è il verbo giusto) come fosse un microonde. Dopo tre quarti d’ora chiami al cellulare il tuo amico più caro. “Ciao, ho sentito Tempest, il nuovo album di Bob Dylan: mi piace la 2, la 5 e la 7, il resto non mi dice nulla…”. Sipario.
Columbia 88725457602 (Folk, Singer Songwriter, 2012)
Pierangelo Valenti, fonte Suono, 2012
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