Sono assolutamente sicuro che il nome di Brian Burns non vi dice (ancora) un bel niente, ma non sarà così per molto, poiché ci troviamo di fronte ad un esordio davvero eccellente, come da tempo non ci capitava di ascoltare. Non per niente abbiamo voluto dedicargli tanta attenzione e tanto spazio. In tutta onestà, neanche io ricordavo il suo nome, ma il titolo di questo CD aveva – da solo – attirato la mia attenzione, in quanto riuniva in sé, pur se in estrema sintesi, gli ingredienti principali che compongono gran parte dei testi delle country songs.
Scorrendo i titoli dei pezzi, uno in particolare non mi suonava del tutto sconosciuto, l’esilarante If You Don’t Believe I Love You, Ask My Wife. Una breve ricerca computerizzata ed ecco scopro che quello stesso brano era stato interpretato da Gary P. Nunn nel suo album del 1989 For Old Times Sake (AO-001) e nel suo CD Live, registrato dal vivo al Poor David’s Club di Dallas nell’ottobre 1991.
Un altro duo di country texano, i Geezinslaw Brothers, aveva nel frattempo incluso il brano nel disco World Tour del 1990. Dopo il primo affrettato ascolto dell’album, mi si è accesa un’altra lampadina: “Eppure anche questa I Don’t Live Here Anymore non mi suona nuova”.
Un’altra breve sequenza di comandi al fido PC ed eccola balzare dal CD del solito Gary P. Nunn Totally Guacamole del 1992 (dove è accreditata ad un misterioso Brian Burna), ma la sorpresa maggiore è stata quella di rilevare un brano con lo stesso titolo nel You Haven’t Heard The Last Of Me del buon vecchio Moe Bandy. Gli autori figuravano però essere i famosi hit-makers Chris Waters, Michael Garvin e Tom Shapiro: la questione è tutt’ora irrisolta e ci si potrebbero ravvisare gli estremi per una bella causa legale, ma se siete arrivati fino qui senza avermi ancora mandato al diavolo per le mie ricerche archeologico-discografìche (perdonatemi, ma sono il mio pallino) vi meritate davvero di entrare nelle fila di quei pochi e fortunatissimi fruitori di country texano che sanno che Brian Burns è una nuova stella nel firmamento del Lone Star State.
Diciamo subito che l’etichetta che ha tenuto a battesimo Highways… è la microscopica indie (il numero di codice del CD, BR-00001, è molto eloquente) Bandera Records, ubicata – udite udite – in quel dello Stato della Stella Solitària. Ragionevole ipotizzare la sua localizzazione nell’omonima città. Aiutano il nostro interprete esordiente alcuni nomi blasonati ed altri meno. Fra i primi fanno bella mostra di sé Ray Wylie Hubbard, a prestare la sua voce alle dolci armonie di Little Angel e della sua stessa Dallas After Midnight e Tommy Alverson, alla voce ed alla chitarra classica. Fra i secondi fa piacere incontrare ancora il bravo Chris Schlotzhauer alla pedal steel ed al dobro, Rodney Wall e Ben Smith alla chitarra elettrica solista, senza dimenticare un tocco di dolce femminilità nell’apporto vocale di tale Veronica Burns (l’omonimia del cognome non credo sia casuale) nella dolce Lucy & Desi.
Il nostro Brian non si è comunque davvero risparmiato per questa sua opera prima: arrangia e produce il disco, veste i panni del tecnico di studio e suona da solo la batteria, il basso, le chitarre, le tastiere e canta. E come canta… una voce calda, pastosa, confidenziale, amichevole, a tratti fortemente reminiscente di Gordon Lightfoot.
Delle dodice canzoni contenute nel CD, almeno otto sono piccoli/grandi capolavori; una poi, la conclusiva The Haunted Jukebox, merita di entrare di diritto nella ipotetica lista dei brani migliori dell’anno.
Si parte con uno scintillante shuffle (sono il mio debole, lo sapete) intitolato appunto Highways, Heartaches & Honky-Tonks, il cui testo riassume in maniera estremamente sintetica le esperienze di un musicista itinerante.
Lucy & Desi gode di un’intro di steel guitar molto atipico, ma lo svolgimento risulta abbastanza tradizionale.
Montgomery Street (Where Did The Good Ones Go) si veste dei toni malinconici di dolce ballata acustica e riesuma i ricordi d’infanzia del nostro, del periodo durante il quale egli abitava in un quartiere dove conosceva tutti e che ora gli appare tristemente degradato e trasformato, tanto da “sembrare di essere in Messico…”.
Improvviso e repentino cambio di ritmo per Whiskey-o. Uno scatenato boogie acustico, giocato sul gioco di parole fra ‘wino’, che potremmo tradurre come ‘avvinazzato’ e ‘whiskey-o’, riconducibile al neologismo ‘whiskey-dipendente’. Lo sviluppo musicale è tale da non consentire all’ascoltatore di tenere immobile il piedino.
E’ poi la volta della ballatona country If You Don’t Believe I Love You, Ask My Wife, ovvero la prova che l’amore per l’amante è sincero: chiedere alla moglie, cornificata se non ci si crede.
Molto più seria, per non dire drammatica, è l’ambientazione del brano seguente, I Don’t Live Here Anymore, che vede il ‘lui’ della situazione rincasare a tarda sera, trovare spenta la luce del portico, che normalmente gli consentiva di infilare la chiave nella toppa al primo tentativo. Eppure stasera non riesce neppure in questa semplice operazione, quando d’improvviso si rammenta che ormai non abita più in quella casa, la serratura è stata cambiata e lui non è più bene accetto. La narrazione si snoda tristemente sulle note di una languida chitarra acustica che accompagna una voce molto sofferta, eppure non ancora rassegnata all’inevitabile epilogo.
Mexico In Mind è colorata dei cromatismi, dei profumi e dei suoni del paese a sud del confine texano, che rappresenta idealmente la terra dove è possibile abbandonare ogni sorta di stress e preoccupazione, per dedicarsi al dolce far niente, rappresentato dalla classica ‘siesta’.
Little Angel Comes A-Walkin’ porta la firma di Ray Wylie Hubbard, come co-autore insieme a Michael Mays, e si avvale di un intro di basso che mi ricorda i Doors prima maniera (?) ed altrettanto fanno la chitarra elettrica e l’organo in finale di brano. Lugubre e notturna, si discosta non poco dall’impronta solare di Mexico In Mind, ma è altrettanto vero che la varietà è una delle caratteristiche di questo piccolo grande album. Lo stesso Ray Wylie compare come guest-vocalist nella canzone.
Commerce & Pearl è un altro piccolo gioiello che deve molto – in termini vocali – al Gordon Lightfoot del periodo d’oro. Orecchiabile ed immediatamente fruibile, con la sua citazione di Dallas After Midnight (nota song a firma Ray Wylie Hubbard) vi lascia desiderosi di ascoltarla ancora ed ancora, seguendo il ritornello che non vi lascerà tanto facilmente: una ricerca della melodia come da tempo non si rilevava.
A seguito della suddetta citazione, l’inserimento del brano di cui sopra era il passo più logico, vista anche la presenza dello stesso autore in altra parte del CD. Viene dunque ripescata l’introspettiva e meditativa ballata notturna intitolata appunto Dallas After Midnight, dotata anch’essa di un ritornello facilmente memorizzabile (no, non vi dirò mai in quale album di Hubbard si trova la versione originale). L’accordion (dalle nostre parti sarebbe ‘la fisa’) si anima sotto le dita sapienti di Brian per un esercizio scanzonato in chiave tex-mex dal titolo Fire Ants. Il divertente resoconto della guerra personale ingaggiata da Brian contro una specie terribile dì formiche divoratrici, nella quale il nostro è affiancato da tutto lo stato del Texas, che dichiara ufficialmente guerra ai temibili insetti.
Se in precedenza avevamo incontrato almeno quattro brani davvero grandi, quello prescelto per chiudere questo folgorante esordio è davvero inarrivabile. The Haunted Jukebox è una ballata acustica appena mossa, ariosa quanto un mattino sulla prateria che si estende a perdita d’occhio, delicatamente contrappuntata dalla chitarra classica in mano al grande Tommy Alverson (avete i suoi due CD, vero?) e dalla steel di Brian Burns. La narrazione si rifa alla sua esperienza ‘mistica’, relativa alla visita al Lost Highway Saloon, dove il juke-box suona le canzoni del ‘grandi’ della musica country, richiamandone gli spiriti. Ecco che Brian avverte il profumo di Patsi Cline, sente l’odore del whiskey nel respiro di Hank Williams e percepisce la presenza dei suoi eroi del passato, remoto e prossimo: Ernest Tubb, Lefty Frizzell e Townes Van Zandt.
Fortemente evocativa nei toni del cantato/parlato (mi ricorda non poco le ballate di Dale Watson), non è certo da meno in termini strumentali, tanto da meritarsi un posto di merito fra le più belle ballate texane in assoluto. Benvenuto fra noi, Brian e possa tu regalarci ancora tanti momenti magici come questi. Welcome Brian Burns: our souls need your music just as much as our hearts need your words.
Bandera BR-00001 (Singer Songwriter, Traditional Country, Alternative Country, 1997)
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 43, 1998