Bruce Springsteen - The Ghost Of Tom Joad cover album

Dopo la sbornia californiana malriuscita del doppio album Human Touch (soprattutto) e Lucky Town, Bruce Springsteen, ancora restio a tornare con la E Street Band, pubblica nel 1995 The Ghost Of Tom Joad, un disco di musica folk ispirato a Guthrie e Steinbeck. La critica, stanca delle ultime prove altalenanti del Boss, saluta il lavoro come un ritorno alla semplicità di Nebraska e loda il disco a dismisura. A mente fredda si può dire che è sicuramente uno degli album di Springsteen con scrittura più cinematografica ed è da annoverare tra i suoi dischi più riusciti degli ultimi anni. Tuttavia a volte la musica risulta un po’ monocorde ed è proprio qui che sembra perdere il confronto obbligato con Nebraska.

La title track è un brano dedicato ai disperati d’America e il riferimento a Furore di Steinbeck è chiaro fin dal titolo (Tom Joad è il protagonista del romanzo). Lascia perplesso l’utilizzo di un tappeto di tastiere che è presente quasi ovunque nell’album per aggiungere drammaticità alle parole e corpo alla musica, ma in Nebraska questo non si era reso necessario e quell’album risulta ancora oggi decisamente riuscito. Segue Straight Time, un gran brano sussurrato e decisamente valido. Highway 29 ha un testo più beat e riferimenti testuali prima sensuali, poi drammatici. La tastiera, come si è detto, non aiuta.
Youngstown è una città simbolo per ricordare la fine di molte aziende americane che hanno gettato nella disperazione migliaia di operai e infatti si dice testualmente che “quei ragazzacci hanno fatto ciò che Hitler non è riuscito a fare”. Canzone molto bella, più volte riproposta dal vivo negli anni successivi anche con la E Street Band. Sianloa Cowboys parla di chi arriva dal Messico nella terra promessa americana e finisce a “cucinare” metanfetamine in California. Testo meraviglioso, musica a sostegno. The Line ricorda Highway Patrolman (su Nebraska, ovviamente!) e parla nuovamente di frontiera. Il fatto però che sia un po’ lunga e non abbia il ritornello non ne facilita l’assimilazione immediata.

Balboa Park è il parco di San Diego frequentato dai tossicodipendenti e dai disperati. Bruce sussurra queste storie amare e l’atmosfera è realmente plumbea e affascinante. Dry Lightning è più latineggiante e solare, anche se luce rimane fioca; indubbiamente l’uso di parole spagnole arricchisce la composizione. The New Timer torna su tematiche steinbeckiane e sul tema del viaggio e della disperazione; un po’ come The Line però soffre la scarsa musicalità e l’eccessiva lunghezza, anche se la mancanza delle onnipresenti tastiere le fa onore.
Across The Border è a mio parere uno dei brani migliori dell’album e mi riporta alla memoria la quasi omonima Across The Borderline di Ry Cooder, John Hiatt e Jim Dickinson. Il testo è positivo e di speranza e musicalmente Bruce sceglie il supporto di un piccolo ensemble che impreziosisce il brano. Galveston Bay parla di veterani del Vietnam e di immigrati, di Ku Klux Klan e pescatori della baia di Galveston. Decisamente bella e cinematografica.
Chiude il breve quadretto ironico e spensierato di My Best Was Never Good Enough che prende in giro i modi di dire americani e le frasi celebri dei film.
In definitiva direi che Nebraska è migliore, ma The Ghost Of Tom Joad, con la sua vaga atmosfera country e di frontiera, risulta decisamente affascinante.

Columbia 4816502 (Singer Songwriter, Folk, 1995)

Fabrizio Demarie, fonte TLJ, 2007

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