Byron Berline, nel suo piccolo, non è nuovo ad esperimenti. Nel lontano ‘63 convinse i Dillards a registrare un riuscito album di fiddle tunes (di cui continua a percepire royalties), coi Burritos olandesi prima e i Country Gazette poi, ha fatto conoscere i virtuosismi del bluegrass agli appassionati del rock (in questo periodo ha accompagnato gli Stones tra l’altro); una volta sgonfiatosi l’interesse di questi si è preoccupato, sia coi Sundance sia colla sua attività solista, di approfondire ed affinare la tecnica, sempre alla ricerca di nuove idee (sua, per esempio, quella di servirsi di più violini contemporaneamente).
La Flying Fish pubblica in questi giorni la sua ultima fatica, pronta già da qualche tempo, anch’essa come le precedenti non priva di spunti originali e della consueta dose d’inventiva. Byron propone ancora un fiddle album che però, pur avendo radici bluegrass, si spinge anche nel country e nel rock.
Infatti stavolta non si è fatto aiutare solo dai fidi Dan Crary (a proposito la Sugar Hill ha pubblicato qualche mese fa il suo secondo lavoro solista, Sweet Southern Girl, discreto ma che non ripete la stupenda prova di Lady’s Fancy) e John Hickman (ricordiamo: chitarrista acustico l’uno, banjoista l’altro), ma ha messo insieme un gruppo piuttosto nutrito di sidemen, con tanto di basso (Lee Skar), batteria (Mark Cohen), chitarre elettriche (James Burton, Albert Lee, Vince Gill), pedal steel (Jay Dee Manness) e piano (John Hobbs), presenti pressoché contemporaneamente.
Ne viene fuori un album decisamente buono, interamente strumentale, con motivi lunghissimi per la prima volta firmati tutti da Byron, vario quanto basta per non annoiare, ricco ma non outrageous come ironicamente suggerisce l’autore: tutta una serie di nutriti e gagliardi assolo di stampo e genere diverso, che si spingono fin nei campi più impensabili, come il jazz appunto.
Su tutti gli strumenti, dopo il violino di Byron naturalmente, le chitarre elettriche, davvero spettacolari e penetranti, ma anche il piano, che in più di un’occasione si fa molto ammirare. È difficile dire se questo è il modo per rifondare il bluegrass, probabilmente il discorso è superfluo perché gli appassionati del genere non sono certo i più agguerriti nell’invocare cambiamenti, tuttavia si tratta di un’opera destinata ad incidere e lasciare il segno in questa non troppo eterogenea realtà.
Flying Fish FF227 (Bluegrass Progressivo, Country Rock, 1980)
Raffaele Galli, fonte Mucchio Selvaggio n. 33, 1980
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