Non capita spesso che un cantante e chitarrista inizi la propria carriera da professionista nei Clinch Mountain Boys, e per giunta all’età di diciassette anni. A Charlie Sizemore è capitato.
Così non capita spesso che un diciassettenne faccia sentire a Ralph Stanley così poca nostalgia del predecessore, nientepopodimeno che Keith Whitley, da restare con lui per nove anni e registrare ben quindici album. A Charlie Sizemore è capitato.
E nello stesso modo non conosco molti ex-Clinch Mountain Boys che abbiano registrato un grandioso album come biglietto da visita a proprio nome, se si eccettuano naturalmente i soliti Skaggs, Whitley e magari Sparks. Va da sé che Charlie Sizemore ha fatto proprio questo con Back Home.
In realtà questo album non è proprio l’esordio solistico per il nostro, ma è comunque degno di considerazione. E’ bluegrass, ma un po’ countreggiante, ed è country, ma molto acustico. In questo modo riesce ad essere un ottimo album ‘country’ nel senso più pieno e originale del termine, come veniva inteso prima che qualche stupidino cominciasse a creare categorie e sottogruppi.
No, non ci sono i soliti Douglas, Fleck, O’Connor e Duncan (Stuart), e di famosi ci sono solo Glen Duncan, Alison Krauss, Keith Little e Claire Lynch. I sidemen utilizzati in studio sono probabilmente i musicisti della band di Sizemore nei pezzi bluegrass, e dignitosissimi quanto poco noti Nashville Cats per il resto (d’accordo, conosciamo anche Bobby Clark al mandolino, e il produttore Paul Craft non è l’ultimo pisquano, così come gli ospiti Mark Schatz e Tim O’Brien, ma chi di voi conosce, ad esempio, Scott Merry o Steve Hinson?).
Il lavoro dei sidemen, in ogni caso, è davvero ottimo, sotto l’illuminata guida di Paul Craft e col solito scintillante suono che esce oggi da Nashville, e Charlie Sizemore riesce veramente a farsi amare in ogni momento. Già come Clinch Mountain Boy aveva saputo fare tesoro dell’esperienza di tutti i suoi predecessori ma anche distinguersene, non ‘fotocopiando’ Carter Stanley bensì trovando una via personale nello Stanley Sound: qui va un po’ oltre, e ad un ascolto anche non ‘chirurgico’ riusciamo a trovare nella sua vocalità echi di Keith Whitley (ovvio) ma anche molto di altri grandi della country music, come George Strait.
A qualcuno questo potrà piacere poco, ma per me è uno dei segreti del più ampio successo del bluegrass, e segno del buon gusto di un interprete.
I pezzi scelti, poi, per metà usciti dalla penna del nostro, contribuiscono in maniera determinante alla riuscita del progetto: bluegrass contemporaneo e grintoso con Who Cares, A Dream Where A Memory Used To Be e Roller Coaster Run (uno dei pochi pezzi in tonalità minore che non ricordino Red Rockin’ Chair o Little Sadie): hard-core country in Walking Home In The Rain (amerete la voce di Alison Krauss), l’m Ready Gone (già ‘covered’ da Doyle Lawson, e qui ornata da una languida steel) e You Never Know Until You Cry; raffinatezze d’autore con atmosfera intima e sognante in Nothing Happens Every Minute (dalla prolifica e magica penna di Pat Alger e Paul Craft, con una Claire Lynch da brividi); quasi-old-time-music in Thy Burdens Are Greater Than Mine con i suddetti O’Brien, Krauss e Schatz; grandi esempi delle capacità di autore di Sizemore in Back Home e Time Can’t Take Your Memory Away.
Serve che io aggiunga altro? Highly recommended.
Who Cares /Time Can’t Take Your Memory Away /Roller Coaster Run /Walking Home In The Rain /A Dream Where A Memory Used To Be /l’m Really Gone /Watering Poison Ivy /Back Home /You Never Know Until You Cry /Once More From The Bottom /Nothing Happens Every Minute /Thy Burdens Are Greater Than Mine
Rebel 1705 (Bluegrass Tradizionale, 1993)
Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 21, 1993