Dopo aver narrato la storia e speso parole di elogio per la Starday e la King Records, le etichette con le quali abbiamo intrapreso un percorso che ci porterà a ricordare le case discografiche indipendenti che ebbero maggiore corresponsabilità nella gestazione del rock and roll, è il turno questa volta della Chess Records, insieme alla Sun di Memphis la più celebrata tra le label che contribuirono a piantare il seme che diede vita al genere musicale che più amiamo.

Non si contano i documentari prodotti che ne raccontano la storia, ma anche i film a soggetto, due usciti nel solo 2008, Cadillac Records e Who Do You Love, grazie ai quali il nome della Chess Records si è diffuso anche tra il pubblico medio.

Quello specializzato invece sa bene, e da tanto tempo, quali nomi uscirono dalla porta del numero 2120 di S. Michigan Avenue, Chicago, il più noto degli indirizzi che ha avuto la Chess Records, noto perché diventato titolo di uno strumentale dei Rolling Stones registrato in quegli studi nel giugno 1964 insieme a una manciata di tributi a Chuck Berry, Muddy Waters, Willie Dixon e Big Bill Broonzy. E diventato poi anche titolo dell’ancora ultimo album di George Thorogood, registrato con i fidi Destroyers e guest del calibro di Buddy Guy e Charlie Musselwhite nel 2011, 36 anni dopo la definitiva chiusura di quella porta.

Nella sede storica della Chess, che oggi ospita la fondazione Blues Heaven Foundation, tra il 1956 e il ’65 vennero prodotti diversi tra i più importanti singoli e album della storia del rock and roll e del blues. Ma la storia dell’etichetta iniziò anni prima, nel 1947, quando Leonard Chess, cedette il suo locale notturno Macomba Lounge al fratello Phil per vivere con maggiore coinvolgimento la musica che proprio in quel locale imparò ad amare.

Leonard entrò nel mondo della discografia attraverso la minuscola Aristocrat Records, che cambio nome in Chess Records nel 1950, quando al progetto ormai consolidato prese parte anche il fratello Phil. Nel 1951 i fratelli avviarono una collaborazione con la Sun Records di Sam Phillips, il quale passò alla Chess pezzi come Rocket 88 di Jackie Preston (Ike Turner Band) e artisti neri sui quali Phillips si concentrò prima di aprire all’hillbilly e sfondare col rockabilly.

Dalla Sun Records arrivarono alla Chess Howlin’ Wolf, Rosco Gordon, Little Milton, Bobby Blue Bland e diversi altri. Ma è con il blues di Muddy Waters, Little Walter, Willie Dixon, il rock and roll di Chuck Berry, Bo Diddley, Moonglows e il soul di Etta James che la piccola grande casa discografica di Chicago si fece conoscere in tutto il mondo, soprattutto grazie ai tributi, alle celebrazioni e alle cover di artisti quali Rolling Stones, Beatles, Eric Clapton, Beach Boys e, particolarmente George Thorogood, che sin dal suo primo disco del 1977 non si è mai dimenticato di inserire brani provenienti dall’etichetta dei fratelli Chess, particolarmente di Chuck Berry e Bo Diddley, artisti per i quali nutre profondo amore e prova grande riconoscenza.

Per un serio approfondimento il consiglio è di entrare nelle quasi 500 pagine di Spinning Blues Into Gold, un libro dettagliatissimo scritto da Nadine Cohodas pubblicato nel 2000 e ristampato una dozzina di anni dopo grazie ad una continua richiesta da parte degli appassionati.

Maurizio Faulisi, fonte Chop & Roll n. 15, 2014

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