Doyle Lawson sta apparentemente vivendo un momento di grazia, sia dal punto di vista stilistico sia da quello del favore del pubblico: può cambiare i membri della sua band ogni due o tre mesi (scherzo…) conservando inalterato il suono Quicksilver, e incontra successo di vendite e critica ad ogni uscita discografica. Questo Hallelujah è l’ennesimo album gospel della sua produzione, e non smentisce le premesse di cui sopra: ottimo suono d’insieme, vocalità grandiosa, varietà di atmosfere, il tutto in un suono che raramente avevamo sentito in passato.
Certo i soliti menosini si troveranno a dire che “Ai tempi di Lou Reid e Terry Baucom…” o “Ma il banjo di Scott Vestal…”, ma sono rompiballe indegni di credito. Qui felicemente notiamo che Shawn Lane ha una voce decisamente più piena e gradevole di quella del suo predecessore (niente nomi), che il dobro di Jimmy Stewart è spettacolare ma misuratissimo (come si conviene in un album di gospel), che il banjo di Brad Campbell, per quanto poco rappresentato, è comunque sempre perfettino ma vivace, e che la voce bassa del bassista John Berry ha il timbro e l’autorità che ormai ci aspettiamo in ogni disco dei Quicksilver.
Oddio, gli attuali (su CD) Quicksilver sono bravissimi, d’accordo, ma certo non hanno uno stile personale e riconoscibile come quello di cui si potevano vantare i precedenti Quicksilver, e forse anche questa è parte del segreto della loro interscambiabilità. Ma bisogna proprio essere menosi per trovare qualcosa da ridire… Non guasta, oltre a questa bravura tecnica, il notare che Doyle sempre più spesso lascia perdere i suoi vecchi libri di inni sacri, e pesca a piene mani da fonti più recenti, come Don Reno, Alton Delmore, Wes Homner, o addirittura Carlene Carter. Il risultato di queste scelte è un CD decisamente più vario di molti dei precedenti, più ‘commerciale’ forse, perché sicuramente di più facile e gradevole ascolto, ma ovviamente destinato a più frequenti passaggi sul nostro lettore laser.
Doyle Lawson non sarà forse più il ‘trend-setter’ che era fino a una decina di anni fa (anche perché ormai sono migliaia le band che imitano, più o meno sfacciatamente, il suo stile), ma anche nel ripetere se stesso riesce ad offrire sempre qualcosa di nuovo ed interessante: la sua classe ed il suo stile, inimitabili in fondo, sono sempre e comunque la vera ragione per acquistare ogni sua nuova creazione. Raccomandato.
Brentwood Music (Bluegrass Gospel)
Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 27, 1995