Terza prova in due anni per Doyle Lawson e compagnia, e per la terza volta giudizio ampiamente positivo: questa Quicksilver Rides Again racchiude infatti in sè i pregi dei due precedenti album, e aggiunge ad essi la gradita sorpresa della partecipazione di musicisti come MIke Auldridge, Sammy Bush e Jerry Douglas.
L’unico difetto che sono riuscito a trovare in questo album, dopo lunghi e freddamente critici ascolti, è la relativa scarsitá dei gospel (solo due) che ci avevano tanto affascinato all’ascolto di Rock My Soul. Ma non è da considerare un grosso difetto, tanto piú che nel resto dell’album è compensato ampiamente da cori fra i migliori che si possano ascoltare in questi nostri anni sofferti.
Se la sempre piú sentita Lonesome River ci rievoca i ben noti brividini nella schiena, ma col dubbio della ‘facilitá’ ad evocarli propria di un pezzo cosí bello, ci pensano canzoni come Poet With Wings o Mountain Girl a togliere i dubbi residui, o anche la vecchia conoscenza Yellow River, che ricordavamo piacevole ma scipitina dai nostri diciott’anni e che qui rivive con cori vivacissimi e breaks mozzafiato, fra cui lascia di sasso quello di Sam Bush.
Una piacevole sorpresa per chi non ha mai sentito i Quicksilver dal vivo (ossia, ahimè, la maggioranza degli italiani) è l’eccellente lavoro di Jimmy Haley nel break di chitarra di Yellow River: velocitá pazzesca, pulizia, ottimo studio di pause e controtempi, gusto ineccepibile.
Ma Haley è soprattutto cantante, e cantante maturo e sensibile, come dimostra nella maggior parte di questo album, cedendo i lead solo in pochi casi: a Lou Reid Pyrtle per Yellow River, “Till The Rivers All Run Dry (nei cori), e in alcuneparti dei gospel; in questi il lead è di solito appannaggio di Doyle, e qui devo associarmi al parere di Sonny Osborne, che vorrebbe un maggior impegno vocale di Lawson.
La sua personalissima voce è infatti un pó in secondo piano nei Quicksilver, ma forse è proprio questo che Lawson vuole, da buon ‘bandleader’: ottenere il meglio dagli ottimi musicisti che ha a disposizione, senza troppo badare al proprio ruolo personale all’interno del gruppo.
I risultati sono in effetti sorprendenti, e ció ha molto contribuito a creare l’immagine ormai quasi mitica che i Quicksilver hanno oggi fra i maggiori gruppi bluegrass.
Passando a parlare dei pezzi, notiamo che quasi tutti sono adattamenti di canzoni contemporanee (giá, canzoni: non c’è uno strumentale in questo album, come del resto nei due precedenti della band, anche se in concerto i quattro si scatenano spesso sui pezzi come Shuckin’ The Corn o Train 45).
Le radici, peró, fanno capolino nei due gospel e nell’immortale, come l’ha definita Bluegrass Unlimited, A Lonesome River; il tutto è espresso con perfezione tecnica nell’ormai inconfondibile stile Quicksilver.
Alcune particolaritá: l’uso di tre fiddles in Lonesome River, e l’interessante confronto stilistico fra il dobro di Mike Auldridge e Jerry Douglas.
Non vorrei rompermi la testa a cercare altri giri di frase per fare una sola, innegabile, fondamentale affermazione: pochi gruppi negli ultimi anni hanno saputo dare un’impronta cosí precisa, definita e originale alla loro musica, e pochi hanno creato in cosí poco tempo il seguito che Doyle Lawson & Quicksilver hanno oggi.
Tre album stanno a sostenere questa mia tesi; penso abbiate i primi due: che ne dite di comprare il terzo?
Sugar Hill 3727 (Bluegrass Moderno, 1982)
Silvio Ferretti, fonte Hi, Folks! n. 1, 1983