Se Wrecking Ball, l’ultima sua produzione curata da Daniel Lanois ormai datata ’95, segnava il suo ritorno di interprete ai massimi livelli in una dimensione sempre meno country e sempre più folk-rock, Red Dirt Girl segna il ritorno nei panni di cantautrice di Emmylou Harris. Una produzione, curata in modo impeccabile dal producer Malcolm Burn, ingegnere del suono di scuola decisamente avanzata e nello ‘spirito sonoro’ del disco precedente, che vede Emmylou abbandonare comodi veicoli espressivi come le canzoni dei vari Dylan, Young e Earle, per affidarsi alle proprie capacità cantautorali.
L’ex regina della country-music veste contemporanei abiti urbani, è ‘alla moda’ e l’acconciatura dei suoi capelli d’argento non è più casuale: sposa ancora una volta la tecnologia, per affidarsi ad atmosfere intense quanto ricercate, dare voce a melodie tristi ed introspettive, ricche di pathos, così variegate nelle diverse fonti di ispirazione da essere atipiche anche per essere catalogate come folk in senso lato.
I comprimari sono un pó cambiati, ma sono sempre nomi del calibro di Buddy Miller, Ethan Johnson, Jill Cunniff, Julie Miller, lo stesso Burn, la magica Kate McGarrigle, che, a mio modesto parere, ha svolto un ruolo fondamentale come ispiratrice della nuova veste espressiva e creativa della Harris.
Come non segnalare poi, cammei come quelli di Bruce Springsteen e Patti Scialfa, che duettano con lei nella sentita e lancinante Tragedy, scritta con Rodney Crowell, e Dave Matthews, nella evocativa e drammatica My Antonia dove le voci si fondono e si integrano in modo mirabile. L’unico brano non suo viene da una folksinger come Patty Griffin, One Big Love, ballata elettrica e tecnologica ma con notevoli parti corali.
Ci troviamo di fronte ad una conferma come interprete e ad una riscoperta come autrice.
Grapevine 103 (Alternative Country, 2000)
Tommaso Demuro, fonte Out Of Time n. 37, 2001