Eric Clapton

24 serate alla Royal Albert Hall di Londra per celebrare la carriera inimitabile di una leggenda della musica dei nostri giorni. Il passato, il presente e il futuro di Eric ‘Manolenta’ Clapton.

In quasi trent’anni di carriera Eric Clapton raccoglie in sé buona parte della musica che dal primo beat londinese arriva fino ad oggi. Molto coerente nel trattare una musica scarna, essenziale e ricca di feeling che si riassume nel blues, Eric è passato attraverso molteplici esperienze musicali che lo hanno visto all’apice del successo sia singolarmente che come membro effettivo di qualche gruppo.
La carriera musicale di Clapton comincia nella Londra dei primissimi anni sessanta: è subito folgorato dal blues; quando gli capitano sottomano i dischi di Muddy Waters e Freddy King capisce che quella è la musica che ha sempre voluto suonare. Da questi due giganti del blues risale alle origini, a quei bluesmen che idealmente sono stati i precursori di quello stile: scopre Robert Johnson e comincia il forsennato tentativo di emulazione che lo condurrà ad una rigorosità di esecuzione superba, ad un controllo pressoché perfetto della chitarra e ad un’adorazione di tutto ciò che è black.

Il primo gruppo che formò fu  The Rooster  e il repertorio era naturalmente quello dei bluesmen che amava di più: Muddy Waters e molto John Lee Hooker. Ma l’esperienza durò poco; seguì quella con Casey Jones & The Engineers e fu ancora più breve perché il gruppo si orientò presto verso orizzonti pop, non graditi a Clapton. L’ottobre del ’63 segnò l’ingresso di Eric sulla scena musicale che conta, si unì infatti agli Yardbirds allora costituiti già da Chris Dreja, Keith Relf, Paul Samwell Smith e Jim McCarty e conobbe il primo successo commerciale. Non durò troppo neanche questa volta perché, rigidissimo nel mantenere fede al suo credo blues, Clapton si separò dal gruppo in tempo a incidere  For Your Love , l’anno seguente al suo ingresso, e si ritirò nel suo dorato isolamento fatto di rigorosissime blue note.

Ma la coerenza evidentemente paga, infatti da quel momento comincia a formarsi il mito del musicista schivo e introverso, completamente proiettato nei ‘solo‘ tirati che diventano sempre più la sua peculiarità. Si unisce a Mayall e nel ’66 esce quel magico album che risponde al nome di Blues Breakers, John Mayall With Eric Clapton in cui il Nostro canta per la prima volta in un brano: Ramblin’ On My Mind di Robert Johnson.
Londra è in delirio, cominciano a comparire scritte sui muri del tipo “Clapton è Dio”, ma Eric sta già pensando di sganciarsi dai Blues Breakers: poco prima, sempre nella formazione di Mayall conobbe Jack Bruce, un bassista con radici jazz ben radicate che faceva dell’improvvisazione parte del suo stile e ne rimase profondamente impressionato. Per la prima volta si rese conto che invece di eseguire alla perfezione vecchi pezzi blues era possibile reinterpretarli, con fantasia e intelligenza, ricavandone ottime elaborazioni.

Eric Clapton e Jack Bruce trovarono presto ciò che mancava loro: un batterista eccezionale che garantiva una sezione ritmica da orologio, Ginger Baker. Nacquero così i Cream, una band destinata a rivoluzionare molti concetti della filosofia musicale di allora. I gruppi che suonavano in quegli anni avevano infatti come pubblico una marea di ragazzini urlanti e scatenati che andavano ai concerti più per consumare un rito che non per ascoltare davvero della musica; con i Cream il livello professionale aumentava decisamente di grado e si garantiva così, senza nulla temere, una audience più colta, un pubblico attento e musicalmente più preparato.

La meteora Cream portò alla luce album di grande splendore come Wheels Of Fire, composto da due dischi registrati rispettivamente a Londra e in America, che includono gioielli come Spoonful e Toad già apparsi sul precedente Fresh Cream, Crossroads, destinato a diventare una sorta di manifesto Claptoniano, e White Room; oppure Goodbye in cui compare l’altrettanto mitico Badge scritto insieme all’amico George Harrison.
Il supergruppo però si scioglie ben presto, infatti nel novembre del ’68 in seguito ai sempre più frequenti litigi tra Baker e Bruce e alle mai sopite insofferenze di Clapton i musicisti decidono di andarsene ognuno per la propria strada, salvo incontrarsi in parte subito dopo.

Clapton cominciò infatti a frequentare Steve Winwood, chitarrista proveniente da formazioni del calibro dello Spencer Davis Group e dei Traffic, e a suonargli sempre più insieme finchè, di comune accordo con l’amico, decise di dare origine a un nuovo gruppo e di affidare la sezione ritmica all’ex compagno Ginger Baker e a Ric Grech, bassista appena uscito dai Family: è l’inizio di un’altra entusiasmante, ma ancora brevissima esperienza, quella dei Blind Faith che dopo un colossale concerto tenuto a Londra, in Hyde Park, nel 1969 e un lungo tour americano, consuma la sua esistenza per mancanza di stimoli ulteriori.
Dei Blind Faith rimane l’album omonimo, nonostante tutto, piuttosto rilevante.

Dopo una breve parentesi con Eric al fianco di Delaney & Bonnie, vide la luce una nuova formazione, da lui nuovamente promossa, Derek & The Dominoes, un gruppo in cui si inserirono il tastierista, bassista e batterista della band di Delaney ormai disciolta. Per Clapton è un periodo difficile, è nel bel mezzo dei suoi problemi con la droga che prende sempre più abbondantemente e in più si è innamorato di Patty Boyd, la moglie del suo migliore amico, George Harrison. I sensi di colpa lo rodono: scrive la celeberrima Layla e la incide con l’aiuto di Duane Allman alla chitarra slide. E’ il 1971 e anche questa band ha i giorni contati, si scioglierà proprio mentre sta tentando di registrare il suo secondo album, mai andato in porto.
Da droga e paranoie Eric Clapton ne uscirà solo due anni dopo, quando l’amico Pete Townshend organizzerà un grande ritorno al Rainbow di Londra insieme a Ron Wood e Steve Winwood, con lo scopo di fargli riprendere confidenza con il palco e il pubblico.

Comincia qui la serie degli album solisti di Clapton, incisi cioè con dei musicisti occasionali, che non sono mai rientrati nella dignità di una formazione stabile. Il primo è 461 Ocean Boulevard, prodotto da Tom Dowd e la sequenza continua fino ad oggi passando attraverso lavori come There’s One In Every Crowd e E.C. Was Here, entrambi del ’75; No Reason To Cry del ’76; Slow-hand, del ’77; Backless del ’78; Another Ticket, dell’‘81; Money And Cigarettes dell’’83; Behind The Sun dell’’85; August, dell’’86; Journeyman dell”89.

Il peso della fama e dell’estrema coerenza iniziale l’hanno fortemente minato e nella sua carriera solista Clapton si è via via spogliato dei fardelli di un tempo: il repertorio di oggi è più easy; come dice il critico Anthony De Curtis: si è invaghito della semplicità e ha cominciato a rincorrerla.
Del vecchio Clapton rimane la rigorosità di esecuzione e la completa padronanza dello strumento, di quello nuovo è in atto il tentativo di tradurre l’evoluzione spirituale in accordi di facile comprensione, in una melodia intensa, ma semplice, in grado di essere percepita da molti cuori e molte menti.

Roberto Caselli, fonte Hi, Folks! n. 50, 1991

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