Gerry Spehar è autore di spessore le cui canzoni hanno ricevuto riconoscimenti da parte di molti colleghi (la coppia Bill e Bonnie Hearne incise a fine anni novanta la sua Georgetown tra gli altri) e nel corso della sua carriera, che ha attraversato ben quattro decadi, ha condiviso il palco con nomi di assoluto rilievo come Ian & Sylvia, Townes Van Zandt, John Fahey, Boz Scaggs e Merle Haggard.
Il musicista di Grand Junction, Colorado, ha fatto parte della ricca scena folk di Denver con il fratello George Spehar, abbracciando poi suoni più vicini al country rock, trasferendosi negli anni a Nashville esibendosi anche alla Grand Ole Opry, in seguito spostandosi a Los Angeles durante una lunga pausa dedicata alla famiglia, pur non dimenticando mai l’amata musica.
Il suo songbook, eclettico ed intenso, é garanzia di qualità importanti e viene ora ripreso in un progetto ambizioso che coinvolge voci che si adattano con facilità al ‘mood’ fatto di country music, folk ma anche di inflessioni rock e soul, intitolato significativamente Other Voices, dove le melodie rinascono con nuove sfumature in un insieme decisamente apprezzabile.
Le sessions sono impreziosite da sidemen di vaglia degli studi di registrazione di Nashville e Los Angeles, le due città che il nostro ha frequentato ed amato maggiormente, da Greg Leisz a mandolino, chitarra acustica e pedal steel a Dan Dugmore al dobro, per passare poi a Lonnie Wilson alla batteria, Michael Rhodes al basso, Pete Wasner al piano, George Marinelli alla chitarra elettrica, a Jay Dee Maness ancora alla pedal steel e, soprattutto ad una serie di vocalist che concorrono a dare nuove colorazioni ai brani, alternandosi al naturale protagonista, Gerry Spehar.
Abbiamo così una sostanziosa selezione di ben venti canzoni distribuite lungo due dischi che chiariscono senza dubbi quanto limpide siano le doti di songwriter del nostro che assurge a protagonista ‘solo’ nell’iniziale, acustica e ‘folkie’, God Bless The Tomcat, nello storytelling dell’ancora acustica Pull On Your Boots, nelle pieghe sarcastiche della country music di Out Of Business Blues, nella fresca rilettura della citata Georgetown, tra i capolavori dell’album, e nel duetto con Lisa McKenzie in Normandy.
Il resto è un omaggio sentito all’autore da parte dell’eccellente Teresa James che ci delizia con voce angelica nella melodia dal sapore tradizionale di Grandpa’s Daisies, nelle robuste inflessioni honky tonk di Rockin’ On A Country Dance Floor, nella suadente (con un pizzico di zucchero in eccesso, per la verità) Both Ends Of The Rainbow in duetto con Gary L. Floyd e nello squisito country-swing di Train, Train, Train, con il grande Dale Watson impegnato, purtroppo solo in un brano, a fare sua una Joanne che spicca tra i momenti più godibili del disco.
Gary L. Floyd è altro grande protagonista con ben otto interpretazioni, quattro in duetto, mostrando una bella sintonia con il repertorio di Gerry Spehar, rileggendolo con intensità, mentre Lisa Daye gioca bene le proprie carte nella classica country song The Horse No One Can Ride.
Un album questo che rende giustizia ad un nome non considerato a sufficienza per quello che ha dato ai suoni di estrazione country e folk, occasione perfetta per fare finalmente la sua conoscenza.
Autoprodotto (Traditional Country, Singer Songwriters, 2024)
Remo Ricaldone, fonte TLJ, 2024