Quinto album, a dieci anni dal debutto e quattro dall’ultimo Highways & Honky Tonks che l’ha lanciata in alto, dove in molti l’hanno potuta notare. Non il grande pubblico, ma certo quello attento alle cose più belle proposte dal mercato country alternativo alle major.
Dieci anni, cinque album, cinque cambi d’abito: un po’ ‘english’ in Just Like Old Times, romantica e crepuscolare in Untamed, harley rider in Bottom Line, cowgirl superstite unica della ghost town di Highways & Honky Tonks, oggi Signora in Nero.
Camaleontica, ma più nell’immagine che nella sostanza, della dark lady Heather possiede la voce, calda, suadente, a tratti mascolina, dolce ma solo quando lei, e soltanto lei, lo desidera. Se la maturità artistica era stata raggiunta con quell’Highways arricchito dal caméo di Mr. Haggard, Sweet Talk si dimostra ancora più vario e perciò convincente.
Merle Haggard, attraverso la sua presenza in quell’album con un duetto ha di fatto tributato un piccolo ma simbolico riconoscimento a Heather, facendola entrare di diritto nell’ultimo capitolo dell’infinita storia della country music.
Oggi è il turno di Dwight Yoakam, che si ritaglia uno spazio a lui perfettamente congeniale nella messicaneggiante Little Chapel.
E questo è soltanto uno dei tanti momenti felici del disco, una raccolta che, per quanto possa sembrare impossibile, surclassa persino il precedente lavoro. Per una molteplicità di ragioni. La prima, molto banale, è perché queste canzoni, tutte, incredibilmente, sono di una bellezza disarmante. La seconda riguarda la varietà dei ritmi, dei temi e degli stili: Bakersfield sound, honky tonk, Mexico, country rock, 70’s country pop, 50’s country, shuffle, nite-life…
E se vogliamo fare qualche nome di riferimento, allora non possiamo non citare Buddy Holly, Patsy Cline, Loretta Lynn, Tammy Wynette, Buck Owens, Ray Price, Merle Haggard e Hank Williams.
Ancora una volta Heather si dimostra autrice di notevole caratura, padrona di uno stile che si riflette nel classico suono country degli anni che vanno dalla seconda metà dei ’50 ai primi ’70. Canzoni registrate con una strumentazione riproponibile in situazione live, arrangiamenti scarni per brani country pop che negli anni ’60 e ’70 sarebbero stati appesantiti da montagne di archi e magari fiati.
La vena compositiva della bionda californiana è inesauribile e sempre d’alta qualità, baciata dalla fortuna di poter contare su quella virtù che permette di scrivere nuove canzoni con i requisiti degli evergreen. Già, perché questo Sweet Talk And Good Lies sembra proprio una raccolta di classici. Un disco d’altri tempi. Roba da far arrossire i produttori di tante aspiranti stelline catapultate, con tanto di fuochi d’artificio, verso un firmamento così uniforme e affollato da accecare, come quello che sovrasta Nashville. Su quel trampolino l’affascinante Heather non ha avuto necessità di salirci, lei la lezione l’ha imparata on the road.
Fino a qualche mese fa l’industria country non sapeva che strada prendere per mantenere alte le vendite, alcuni hanno riscoperto l’acustico e i suoni della tradizione, altri, con un pizzico forse di autolesionismo, hanno deciso di accentuare l’indirizzo pop, altri ancora, imperterriti, hanno continuato a fare quello che hanno sempre fatto, good ol’ country music.
Heather Myles, orgogliosamente, è tra questi ultimi.
Rounder 3179 (Traditional Country, Bakersfield Sound, Honky Tonk, 2002)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 64, 2002
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