La San Francisco del ’68 non può essere ricordata che per i suoi viaggi psichedelici ancora oggi considerati rivoluzionari sia dal punto di vista sociale e culturale oltre che musicale. Il fatto che quel luogo fosse la casa di un movimento impegnato a cancellare i confini esistenti attraverso una nuova concezione del rapporto tra l’uomo e il suo prossimo, tra l’essere umano e il mondo che lo circonda – e qui, vi prego di farvi tornare alla mente le immagini di quella colorata generazione vista in tanti fìlms, ma anche dalle nostre parti, seppur in maniera decisamente diversa – così come la casa di un quintetto di tradizionalissimo bluegrass, beh la dice davvero lunga sui mille aspetti di questa particolare quanto meravigliosa città.
Bene, ora sapete che celebrando il ’68 si celebrano anche i 30 anni di attività degli High Country. Bel colpo, no?
Non potevo che mettere in campo tutta l’ironia di cui son capace per sdrammatizzare il fatto che, nonostante sia passato tanto tempo, gli High Country continuano a non essere sufficientemente conosciuti. Chi segue il bluegrass con attenzione magari ne ha sentito parlare; io stesso, cospargendomi il capoccione di cenere, vi confesso di avere soltanto un disco di dieci anni fa. Che tra l’altro continua a piacermi molto.
Il quintetto vede ancora la presenza di Larry Cohea al banjo e del fondatore Butch Waller al mandolino, il resto è cosa relativamente nuova.
La musica, più quella di oggi di quella del passato, ricorda da vicino il bluegrass ruspante di Vern Williams, grezzo, apparentemente poco curato, ma di grande energia e pathos.
Un buon disco, bilanciato tra originals e standard, di cui consiglio l’acquisto tanto a chi deve farsi perdonare questa ‘distrazione’ quanto a coloro che decidono di darsi finalmente anche al bluegrass.
Strictly Country SCR-48 (Bluegrass Tradizionale, 1998)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 40, 1997