“Una delle star che più rapidamente crescono oggi nel bluegrass è la band Hot Rize. Negli ultimi anni questo quartetto del Colorado ha sviluppato uno show notevolmente avvincente, non dissimile da quello di grandi band come Flatt & Scruggs o Reno & Smiley” (da Bluegrass Unlimited, Gennaio 1985).
Chi ha avuto la fortuna di assistere ad un concerto degli Hot Rize sa quanto fondata sia questa opinione, e quanto gradito quindi possa essere un album live del gruppo. L’incredibile carica dei quattro musicisti trova infatti una immediata trasmissione al pubblico sin dalle prime note, e la loro presenta scenica è il migliore veicolo per la loro notevole musicalità.
Non sorprende, quindi, che il primo album live della band (che mi auguro non resterà isolato) riesca perfettamente nel difficile compito di trasferire questa carica, questa comunicazione da una situazione calda di concerto al ben più asettico ambiente dell’ascolto casalingo.
Per chi ancora non conoscesse gli Hot Rize (vergogna!) sarà opportuno un piccolo esame del loro suono, unico e inconfondibile. Si è spesso insistito sulle radici tradizionali di questo sound: gli elementi migliori della musica di Monroe, Flatt & Scruggs, Stanley Brothers, e degli altri maestri del bluegrass tradizionale trovano in effetti negli Hot Rize una sintesi quasi perfetta, ma questo non basterebbe a rendere unico il suono della band (altri hanno operato in tempi recenti la stessa sintesi, con risultati assai diversi).
Un ascolto superficiale dà infatti risalto al banjo versatile e virtuosistico di Peter Wernick, alla vivace originalità del mandolino e del fiddle di Tim O’Brien, ai break folli e rarefatti della chitarra di Charles Sawtelle, ma è un ascolto più attento che permette di individuare le ragioni profonde alla base dell’affascinante suono del gruppo; è a mio parere soprattutto il ritmo a rendere unica questa band: il basso di Nick Forster, apparentemente quasi disadorno, è in realtà la spina dorsale del ritmo del gruppo, un supporto che potrebbe da solo sostenere anche le variazioni ritmiche più azzardate (e chi avesse provato a seguire nota per nota ciò che Forster fa sul basso potrebbe dire molto sulla sua ‘semplicità’!). Gli altri tre strumenti sono in ogni momento complemento ideale del basso.
Tutto questo è stato ottimamente catturato dalla Flying Fish in un album che consiglio di acquistare senza la minima esitazione, album che merita una chiacchierata per diverse ragioni: in una certa misura il disco è decisamente rappresentativo di ciò che gli Hot Rize sono dal vivo, ma sotto certi aspetti è diverso da ciò che i quattro musicisti perseguono (o hanno perseguito) nella ricerca personale. Le composizioni originali, che nei due LP precedenti sembravano essere l’interesse principale del gruppo, sono qui ridotte a due: il duetto bluesy My Little Darlin’, perfetto terreno per una fantastica performance vocale di O’Brien, e il gospel Your Light Leads Me On, in cui Wernick (autore del pezzo) fa uso del phase-shifter sul banjo, con l’usuale buon gusto.
Il resto dell’album è quanto di più tradizionale si potrebbe immaginare in quanto a scelta di pezzi: il gruppo non si limita a rivisitare classici del bluegrass come Let Me Love You One More Time e Rank Strangers (dagli Stanley), I’m Gonna Sleep With One Eye Open e Martha White Theme (da Flatt & Scruggs), o gli ormai canonici Shady Grove, Sally Goodin e Sugarfoot Rag, ma giunge a ripescare pezzi ‘antichi’ e inusuali, come Goin’ Around The Sea di Cousin Emmy e Been All Around This World, decisamente insoliti in un contesto bluegrass. Il tutto, naturalmente, reso fresco e attuale dal tocco personale dei quattro musicisti.
Credo sia mio dovere riportare alcune critiche raccolte da amici bluegrassari (il cui parere apprezzo sempre, anche quando è opposto al mio… e anche se viene da anime semplici, con grossi nasi e piedi puzzolenti…): a lasciare perplessi i sunnominati amici, peraltro estimatori degli Hot Rize, è soprattutto il missaggio, che non fa troppo onore alle voci, e in parte la chitarra di Sawtelle, che appare qui un po’ troppo contenuta, quasi semplificata al massimo nell’intento, forse, di evitare gli errori. Sono opinioni, e le rispetto, ma non sono del tutto d’accordo. E’ vero che a tratti l’impasto sonoro non è perfetto, ma credo non si debba dimenticare che Hot Rize In Concert è un album dal vivo, con i pregi e i difetti di ogni album dal vivo.
Ultima annotazione: sulla seconda facciata compaiono, in un paio di pezzi, Red Knuckles & The Trailblazers, noti alter ego degli Hot Rize, e il loro ‘western style’ si conferma divertente, anche se privo della fondamentale componente visuale, e professionalmente scherzoso. Come direbbe Red Knuckles in persona: “Mighty fine, mighty fine!”. E altrettanto “mighty fine” è l’album nel suo complesso, splendida conferma della validità dello stile proposto dagli Hot Rize: ma avevamo forse bisogno di conferme?
Flying Fish FF-315 (Bluegrass Tradizionale. Bluegrass Moderno, 1984)
Silvio Ferretti, fonte Hi, Folks! n. 10, 1985