James McMurtry - It Had To Happen cover album

Doveva accadere. Non è sorprendente che James McMurtry dovesse accasarsi alla Sugar Hill. Questa era la label di alcuni artisti che avrebbero avuto una significativa influenza sulla sua carriera musicale. Quando ha iniziato a suonare la chitarra, i suoi eroi erano flat-pickers come Doc Watson e Tony Rice. Quando ha iniziato a comporre, il suo cesellato stile narrativo lo avvicinava ai grandi del cantautorato texano come Guy Clark e Townes VanZandt, che proprio dalla Sugar Hill erano passati in più momenti della loro carriera.

Perché è accaduto? Questo texano ha esordito alla fine degli anni ’80 con Too Long In Wasteland (prodotto da John Mellecamp), ha proseguito la sua attività negli anni ’90 firmando Candyland (ancora all’ombra di Mellecamp) e Where’d You Hide The Body (prodotto da Don Dixon), tre ottimi lavori, gratificati da un lusinghiero successo di critica e di pubblico, che non gli sono valsi la possibilità di rimanere ad una major. La musica d’autore, se non sei abbastanza potente e importante da non subire condizionamenti (chi lo è?), è indipendente; negli anni ’90 più che mai.
James McMurtry ha commentato: “It’s better when you move…play it loud”.
It Had To Happen è sicuramente il suo lavoro più maturo, personale, importante e riuscito sino ad oggi. Colpisce per la forza e la fresca musicalità con cui investe l’ascoltatore. Realizzato esattamente secondo i desideri dello stesso McMurtry, ci offre una delle più ricche e ben sviluppate pagine di Texas-sound cantautorale. Il figlio dell’autore di Lonesome Dove e Last Picture Show, nel rispetto dell’approccio letterario del padre Larry, descrive nelle sue canzoni il mondo che lo circonda: il Texas. Le sue storie sono piccoli ritratti in musica di paesaggi, personaggi, situazioni, emozioni, descritti nello spazio di una canzone con i ritmi narrativi che si intersecano con quelli musicali creando un fluire di ritmi e melodie continuo ma diseguale, originalissimo nell’incedere.

Ad aiutarlo a concretizzare in solido ed essenziale rock questa nuova galleria di caratteri e situazioni di vita vissuta, troviamo il ‘guru’ del Texas-sound, Lloyd Maines. Un produttore che, oltre alle innumerevoli esperienze passate, ha da poco contribuito alla realizzazione di lavori, targati Austin, di personaggi come Terry Allen e Robert Earl Keen. Questi valorizza al massimo la formula del sound di un particolarissimo chitarrista come McMurtry, sempre alla ricerca di suoni grazie alle accordature, alla varietà di chitarre, di basso a sei ed otto corde. I comprimari sono Ronnie Johnson, basso, Chris Seales, batteria, Lisa Mednick, accordion e tastiere, e Randy Garibay Jr., seconda voce.

Paris ci introduce subito al caratteristico guitar-sound di McMurtry con la Mednick all’accordion, a ricordare che questa è una Parigi vista da un americano, Peter Pan è un’altra superba ballata giocata sui ricordi, bellissimo l’impasto organo-chitarra. I ritmi sincopati di For All I Know sono sottolineati dal washboard di John Treanor, eccezionale James alla chitarra, mentre No More Buffalo ci regala una delle più intense performance vocali di James che evoca una toccante immagine delle pianure spopolate, in una song pervasa di nostalgia e percorsa da un elegante slide guitar solo dello stesso Maines. L’acustica O’clock Whistle lo riporta alla scarna ma pungente dimensione di folk-singer. La formula voce-chitarra-armonica gli si addice.

Sixty Acres ci guida al più classico McMurtry guitar-sound in una rock ballad elettrica, tagliente e ritmata dove compare Charlie Sexton al mandolino. Be With Me rallenta il ritmo: è una ballata lunga e sinuosa ben sviluppata dalla chitarra di James cui si aggiunge ancora Sexton, bouzouki, con godibili effetti. Wild Man From Borneo, unico brano non originale firmato da un altro texano, Kinki Friedman, è personalizzata dalla vellutata voce di McMurtry e dal suo caratteristico incedere alla chitarra. Chiudono due lunghe parabole che riflettono sul significato della vita, Stancliff’s Lament e Jaws Of Life, molto gradevoli, in quest’ultima, superbo il dialogo tra le chitarre di McMurtry e Lloyd Maines, lap-steel, oltre alle belle parti corali.
Doveva accadere, è accaduto. Ci troviamo così di fronte ad un’opera che pochi songwriters sono in grado di realizzare. “It’s better when you move…play it loud”.

Sugar Hill SH 1058 (Singer Songwriter, Roots Rock, 1997)

Franco Ratti, fonte Out Of Time n. 22, 1997

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