James Talley - Touchstones cover album

A furia di descriverlo come uno dei tesori d’America, piccolo patrimonio della cultura popolare, James Talley rischia di diventare un panda con la chitarra, sorta di specie da preservare nello zoo dell’atemporalità. Nulla di più sballato, chè se è verissimo che Talley è uno dei tesori d’America, almeno nella sezione marginale dei menestrelli, rinchiuderlo nella gabbia arrugginita delle antologie del ‘good ole time’ è del tutto irragionevole.
L’attualità di Talley, il suo essere semplicemente e ineluttabilmente moderno, sta tutta in questo suo nuovissimo e antico (e non è un giochetto di parole) Touchstones. L’album raccoglie infatti alcune pagine del suo passato (vecchio di un quarto di secolo o giù di lì) Capitol, riregistrate per l’occasione, ma non attualizzate, chè la loro modernità, come si è già detto, è fuori discussione.

Di antico, in questo Touchstones, c’è semmai la sapienza tutta artigiana di un songwriting fottutamente americano, che tiene assieme con semplice naturalezza il blues, il folk, il bluegrass, l’honky tonk, il texan swing, il country, al servizio di canzoni che non conoscono il tempo, perché parlano in fondo di ciò che sta nel titolo del brano d’apertura, Trying Like The Devil To Be Free (occorre la traduzione?). Ciò che ancora non vi ho detto è che Talley, per rifare queste sue pietre di paragone, se n’è andato a San Antonio, Texas, affidandosi a Tommy Detamore e a un pugno di session men solidi, l’uno e gli altri voluti da Talley dopo aver sentito The Return of Wayne Douglas di Dough Sahm. A questi, al loro groove quadrato e rilassato al tempo stesso, si aggiungono il violino di un vecchio drago come Ponty Bone e un cammeo vocale di Joe Ely.

Cimarron 1011 (Singer Songwriter, New Traditionalists, Country Folk, 2002)

Mauro Eufrosini, fonte JAM n. 84, 2002

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