La critica americana aveva scritto al suo esordio solista: “…se state aspettando la prossima grande cosa nel folk in America, io scommetterei i miei soldi su Jason Eklund” e aveva visto in lui “la reincarnazione di Woody Guthrie” accostandolo a personaggi come Bob Dylan, John Prine e Tom Waits. Un esordio – Jason Eklund (Flying Fish FF 70617) del ’93 – che aveva rivelato un folksinger decisamente superiore alla media per spessore e personalità, attento alla qualità della musica e dei testi e, cosa sempre più rara, alle fonti d’ispirazione. Come un vecchio film in bianco e nero dei grandi maestri, sembrava destinato a diventare immediatamente un ‘classico’. Ma si sa come vanno queste cose: “tutti ne parlano bene, ma nessuno lo va a vedere”. Troppo impegnativo, fa pensare. Nella musica e nel messaggio poetico-musicale di questo songwriter del mid-west che ha abbandonato presto l’università per la vita ‘on the road’, ‘trovatore’ sotto i celi del ‘grande paese’, vi è lo spirito di personaggi come Leadbelly, Lee Hayes, Cisco Houston, Woody Guthrie, Pete Seeger sino a Dylan, Ramblìn’ Jack Elliott, Phil Ochs e le grandi ‘voci’ della protesta dei sixties.
Numerose folk ballads, dagli accenti blues, rock e country, Lonesome Out There, Walk One More Mile, l’m The Road gli conferiscono la statura di contemporaneo ‘hobo’: anacronistico quanto affascinante.
Lost Causeway, secondo album per questo cantautore che attraverso le sue originali songs ben radicate nella tradizione storica della musica americana ci offre la sua personale visione del mondo, sarà ancora una volta fonte di gioia oltre che di meditazione per i cultori del folk-USA. La conferma innanzitutto di trovarci di fronte ad un personaggio autentico. I suoi lavori, caratterizzati ancora una volta da stupende foto in bianco e nero, virate per conferirgli un’immagine anni ’50-’60, sono realmente ‘out of time’. Townes VanZandt e Jimmie Dale Gilmore hanno speso parole di elogio durante il suo tour texano e questo, unito al grande successo ottenuto presso i musicisti locali, lo ha praticamente costretto a registrare ad Austin. Lost Causeway, un autentico gioiello di un ‘new-folk traditionalist’ capace di esprimersi con la musica ed il linguaggio di un tempo, non risente minimamente delle influenze di questa città. E’ Jason a dettare tempi e i ritmi del suo lavoro. I numerosi ospiti di questa artigianale opera d’arte ‘Made in Austin’: Jimmi LaFave ed i Lost Tribe, Guy Forsyth, Steve James, Ron Erwin, Gillman & Deaville, Mark Rubin arricchiscono musicalmente Lost Causeway, lo rendono praticamente perfetto. La produzione impeccabile, l’accurata strumentazione, gli arrangiamenti più vari e curati, le parti vocali a più voci – ascoltate il duetto con LaFave in Second Story, sarebbe stato come unire Dylan a Tim Hardin – non alterano lo spirito del folk-singer impegnato e rigoroso che ha il suo equilibrio poetico-musicale nella voce, nella chitarra e nelle ‘storie’ da raccontare. Certo dobro, national-steel, accordion, violino, banjo, rendono più gradevole il cammino.
Più facile seguirlo lungo il viaggio attraverso l’America di oggi con il senso critico ed il feeling di ieri, dove ne esce l’immagine di un grande songwriter, dalla caratteristica voce nasale che ricorda il primo Dylan, e quella impietosa di un paese dove nulla funziona come dovrebbe perché i valori veri sono asserviti alla logica della ricchezza, degli interessi e del potere di pochi. Un vecchio e già sentito messaggio che, dalla voce di questo giovane songwriter, suona un nuovo ed impietoso atto d’accusa.
Forse è proprio per questo che un messaggio musicale tanto ricco e colto, intelligente e articolato, è caduto nel vuoto. Non la vogliamo buttare in politica, per carità, ma l’originale visione del mondo di questo giovane, libero e nomade, evoca ricordi lontani. Non si può certo capovolgere 6 in 9, ma ricordare ‘come eravamo’ non serve solo ad innescare l’ennesimo effetto ‘nostalgia’. I dolori, i problemi, i drammi e le ingiustizie rimangono sempre a chi li ha e li subisce. Di fronte a messaggi tanto chiari e diretti, come è stato per John Trudell, la presa di coscienza non è più un ‘optional’.
Flying Fish FF 70645 (Folk, 1995)
Franco Ratti, fonte Out Of Time n. 10, 1995
Ascolta l’album ora