Al quarto disco il cantautore del New England Jesse Terry si imbarca in un progetto decisamente particolare e non privo di insidie con un disco fortemente orchestrato e dalle reminiscenze britanniche oltre a quelle legate ad un grande della musica americana come Roy Orbison. Stargazer è inciso a Nashville, Tennessee ma non rientra nei suoni che generalmente ci aspettiamo da produzioni che provengono da quella città, mostrando chiare influenze ‘beatlesiane’ e delle sonorità che una band come i Traveling Wilburys ci aveva presentato con i suoi dischi.
Le tematiche sono ottimistiche e sognanti e le pulsioni pop spesso si trasformano in ballate interessanti e, quando le melodie non sono troppo ‘compresse’ dalle trame orchestrali emergono in tutta la loro bellezza. Personalmente prediligo i momenti più cantautorali e corposi a partire dalla eccellente Dangerous Times, tra i momenti migliori di questo Stargazers dove rock e radici si incontrano ricordando certe cose di Tom Petty mentre spesso la produzione eccede in campionamenti percussionistici e si insinua una certa dose di psichedelia come ad esempio in Only A Pawn, Kaleidoscope e Stay Low. Won’t Let The Boy Die sa di Jeff Lynne negli arrangiamenti e inevitabilmente anche del Tom Petty di dischi come Into The Great Wide Open.
Una spanna sopra c’è comunque la trascinante Dance In Our Old Shoes dove Jesse Terry indossa nuovamente i panni del troubadour, quelli in cui secondo me si trova meglio, affiancata da un finale che risolleva un album alterno anche se piacevole con Runaway Town, Trouble In My Head e la delicata Dear Amsterdam ad inquadrare meglio il mix di rock, pop e radici proposto.
Un lavoro dalle melodie intriganti che sarebbe suonato meglio dando spazio ad arrangiamenti più roots.
Jackson Beach JBR02 (Singer Songwriter, 2017)
Remo Ricaldone, fonte TLJ, 2017
Ascolta l’album ora