Joe Nichols - Man With A Memory cover album

Ogni anno l’industria musicale di Nashville pubblica centinaia di nuovi titoli tra cui molti nuovi nomi che provano a sfondare nel mondo del music businness. Molti di essi passano sotto silenzio, molti altri riescono a portare qualche singolo in vetta senza dare l’impressione di poter durare a lungo, qualcuno si impone all’attenzione di pubblico e critica per la qualità del proprio lavoro.
Joe Nichols è una delle migliori novità che questo mercato abbia prodotto negli ultimi anni. Questo suo disco d’esordio segna anche l’arrivo sulla scena musicale di una nuova etichetta ed è, senza troppi giri di parole, entusiasmante dalla prima all’ultima delle dodici tracce prodotte dall’esperto Brent Rowan autore anche delle parti di chitarra acustica ed elettrica.
La voce di Nichols è bella, piena, sicura e già matura, colorata di tonalità che personalizzano ogni canzone portando alla mente vocalità già sentite ma allo stesso tempo nuove, per rendere l’idea un Alan Jackson che in certi momenti canta alla maniera di Garth Brooks. Le scelte stilistiche sono l’ennesimo splendido esempio di come si possa essere moderni e proiettati ad un pubblico giovane, senza mai perdere un attimo di vista le sonorità classiche e le atmosfere tipiche del genere, provate a pensare a strumenti tipici della country music: bene li troverete tutti qua e là nell’album.

Le canzoni sono belle, anche se in questo caso userei volentieri il superlativo, non stancano, raccontano storie importanti, parlano di vita vissuta, di luoghi, amori sfortunati e tutto ciò che è semplice filosofia di vita, insomma tutto ciò di cui un bel disco di musica country dovrebbe trattare. Vediamone insieme qualcuna.
La ballata di apertura è The Impossible, singolo che ha fatto da primo traino al disco con un successo di pubblico più che meritato, una di quelle canzoni che ti rapiscono al primo ascolto e di cui ti innamori al secondo, meriterebbe una recensione a parte.
Secondo singolo, e seconda N.1 hit, con Brokenheartsville, immaginario luogo dove si affogano i dolori d’amore, Nichols ne colora i tratti con una interpretazione impeccabile sostenuto da una band che comprende Bryan Sutton (mandolino), Aubrey Haynie (fiddle), Dan Dugmore (steel).
Joe’s Place dipinge il locale che noi tutti sognamo di avere sotto casa, un luogo in cui dimenticare il lavoro, bere una o due birre e scambiare battute con gli amici, mentre il juke box suona le vecchie canzoni di Willie, Haggard e Jones e dalla parete ti guardano foto di Elvis e John Wayne. Everything’s A Thing è uno dei tre pezzi scritti dallo stesso Nichols, pezzo strano sia per il testo che per l’evoluzione musicale che vede presenti anche il wurlitzer di Tim Lauer e la national duolian di Bryan Sutton.
Atmosfere da swing per That Would Be Her un bel lento spazzolato alla batteria nientemeno che da Vinnie Colaiuta, in Cool To Be A Fool siamo catapultati nelle sonorità della Louisiana con i tipici banjo e accordion.

In You Can’t Break The Fall il sound si fa decisamente jazzy nelle strofe per diventare un classico honky tonk nel ritornello, protagonisti i virtuosismi pianistici di Gordon Mote.
Can’t Hold A Halo To You e You Ain’t Heard Nothin’ Yet sono due lenti scanditi in modo classico dal pianto della steel guitar. In Life Don’t Have To Mean Nothin’ At All il giovane Nichols si cimenta in un pezzo tutto acustico scritto da Tom T.Hall, le assurdità della vita cantate, quasi parlate e sostenute da una formazione eccezionale con David Hungate al basso, Bryan Sutton all’acustica, Chris Thile al mandolino, Jerry Douglas al dobro e Vince Gill alla seconda voce.
In chiusura di disco la title track, altra bella storia di amori finiti con contorno di bartender e jukebox per ripensare al passato, guardarsi attorno e ricominciare.
Joe Nichols sta raccogliendo con questo album un successo più che meritato, due singoli arrivati in vetta alle classifiche, un tour al fianco di Alan Jackson, un CMT award come miglior video di un nuovo artista.
Per quel che mi riguarda, sono stato entusiasta di questo ragazzo fin dalla prima volta che lo ascoltai, ero a Nashville e lui si esibiva accompagnato solo da un chitarrista acustico proponendo pezzi del suo disco in uscita e rivisitando qualche canzone di Merle Haggard. Se artisti come lui e dischi come Man With A Memory riescono ancora ad avere successo, vuol dire che la musica country non è morta e nemmeno malata…è più in salute che mai!

Universal South 088 170 285-2 (New Country, 2002)

Roberto Galbiati, fonte Country Store n. 66, 2003

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