John Gorka è considerato uno dei massimi singer-songwriter d’America. Non c’è tributo a grandi artisti o raccolta dedicata ai folksinger in cui egli non sia presente con una suggestiva interpretazione. Finalmente il tempo ha dato ragione ad un artista eccellente, costruitosi faticosamente, un instancabile tessitore che per affermarsi ha seguito l’unica strada che sentiva di poter percorrere: continuare a scrivere bellissime canzoni, senza cedere a compromessi, senza deviare mai dalla strada maestra.
John è uno dei più coerenti interpreti della scena folk. Non ha mai spostato di un millimetro il suo approccio genuino alla musica, non si è lasciato tentare da facili discese commerciali, si è sempre attorniato di musicisti validi, ma capaci di non sovrapporsi alla sua ispirazione e lungo sette dischi ha saputo mantenere quel gusto e quel calore che da sempre hanno contraddistinto le sue ballate. Ci dona una musica che possiede il grande carisma della semplicità, nasce spontanea dai recessi del cuore come un raggio di luce capace come pochi altri di emanare vibrazioni positive. La sua voce è uno strumento affascinante, dalle sfumature morbide e avvolgenti, il suo dolce ‘crooning’ ha conquistato tutti.
John ha un tratto inconfondibile e la capacità di disegnare sulla chitarra giri e accordature che conquistano al primo incontro, orecchiabili, equilibrati, sempre di fattura squisita. L’uomo, che ho avuto la fortuna di conoscere, è un campione di modestia e amabilità. Sono felice che John Gorka, il folksinger sorridente, abbia trovato un posto al sole. Il suo ‘never ending’ tour prosegue instancabile per i club americani, a Minneapolis, al McCabe’s di Santa Monica, all’Uncle Clavin’s Coffehouse di Dallas o al Godfrey Daniels di Bethlem, città d’origine dove è nata la sua avventura musicale.
Questo nuovo album, il settimo, riporta John all’etichetta d’origine, quella Red House che lo aveva lanciato nel 1987 con I Know, il debutto.
After Yesterday forse non contiene capolavori di bellezza folgorante, ma si attesta su livelli mediamente alti, ispiratissimo come d’uso, con una perfetta rispondenza fra voce e suoni. Il team dei collaboratori che impreziosisce le songs di John annovera personaggi come il mandolinista e fiddler ‘prodige’ Peter Ostroushko, il poliedrico chitarrista John Jennings, il valente bassista Michael Manring e la dolce Lucy Kaplansky, già ottima songwriter in proprio.
Tema fondamentale dell’opera, è la recente paternità di John, l’assunzione delle conseguenti responsabilità, la rivoluzione esistenziale di un ‘single’ e la rapita meraviglia di fronte al piccolo Bocephus Mahatma Sinatra Gorka.
Non mancano quelle storie che John ha sempre saputo raccontare con straordinaria intensità emotiva.
Gli angoli più attraenti chiamano in causa la struggente Thorny Patch, così penetrante e rivestita da un superbo ricamo su chitarra e mandolino, la romantica Silvertown capace di scaldare il sangue, la fresca ed autobiografica After Yesterday, la bellissima e dolcemente solare Amber Lee, fragile elegia sospesa sotto un cielo trapunto di stelle, le due splendide ballate finali, Zuly, scritta durante un viaggio in Alaska e Heroes, insegnata ad Hugh Blumenfeld in un Kerriville Folk Festival di dieci anni fa, vero sigillo d’oro del disco.
Ma apprezziamo a prima vista pure la convincente When The Ice Goes Out, dedicata al freddo Minnesota dove John ora vive, la garbata Cypress Trees, l’ottima Wisdom trasportata con maestria dalla sua calma voce, il bluegrass di St. Caffeine, in cui John suona il banjo, ricordandoci di esser un fan di Flatt & Scruggs.
Con arpeggi conturbanti, quelle caratteristiche larghe pennate sulla cassa armonica della chitarra, con quel timbro capace di modellarsi sulla melodia come argilla, John Gorka, il Sinatra del folk, ci raggiunge, ancora una volta nei centri vitali, nei luoghi dove alloggiano sentimenti.
After Yesterday non conosce momenti di stanchezza, avvince e rapisce al primo ascolto. Non si discosta dai dischi che lo hanno preceduto, sentimentale senza sentimentalismi, pronto a scaldare e ad allinearsi con l’energia positiva del mondo. Diario di un personaggio trasparente e spontaneo, specchio di un’anima innocente e poetica, in naturale confidenza con la musica.
Noi speriamo che John ritorni e ci riporti al fuoco delle sue indimenticabili ballads. Arrivederci a presto, sarà come trovarsi davanti a un focolare. Arrivederci in Italia, lovely John Gorka.
Red House 121 (Singer Songwriter, Folk, 1998)
Francesco Caltagirone, fonte Out Of Time n. 29, 1998
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