È il terrorista del blues e del rock’n’roll: prende le musiche che hanno fatto la storia d’America e le fa esplodere sotto i colpi di micidiali schitarrate punk. È Jon Spencer, leader del trio Blues Explosion. Lo abbiamo intervistato unitamente al suo chitarrista Judah Bauer, che si diletta a suonare coi Twenty Miles, creatura deforme di casa Fat Possum.
Jon Spencer e la sua Blues Explosion incarnano lo spirito rock’n’roll americano contemporaneo meglio di qualunque altra band. In fondo sono il trio perfetto: due chitarre e una batteria…
Il feeling tra Jon Spencer, Judah Bauer e Russell Simins è percepibile ad ogni esibizione del gruppo, sempre cariche d’energia e perfette nella sincronia delle parti. Non da meno è stata l’esibizione, l’unica italiana, dello scorso 4 aprile ai Magazzini Generali, in supporto dell’ultimo lavoro Plastic Fang, il più maturo dei dischi fino ad ora partoriti da questo formidabile trio. La rabbia delle precedenti produzioni, e soprattutto del periodo Pussy Galore, si è canalizzata nella stesura di canzoni rock’n’roll perfette, incalzanti ed elettriche, piene di soul e rhythm & blues, sanguigne e irresistibili.
Vinta la sua solita ritrosia, Jon accetta di fare quattro chiacchiere con la stampa prima del soundcheck, con calma e pacatezza. Ciò che stupisce di più conversando con lui è la profondità della sua voce, calda e vicina ad un Leonard Cohen, molto distante dalla veemenza che si avverte quando è sul palco, a contatto con un microfono.
“La produzione questa volta l’abbiamo voluta affidare a qualcuno di esterno, dopo aver provato i nuovi pezzi più volte dal vivo”, racconta. “Quindi siamo arrivati in studio preparati, ma con la voglia di pensare solo alla resa delle canzoni, alla loro esecuzione. Ci siamo sentiti tanto maturi da poter affrontare un produttore, ma non sapevamo bene a chi rivolgerci, dato che volevamo tenere il suono il più simile possibile a quello live. Così un amico ci ha suggerito Steve Jordan, che conoscevamo solo per il lavoro che aveva fatto con i dischi di Keith Richards. Si è dimostrato una gran persona, disponibile e interessato a ciò che volevamo fare. E così abbiamo incominciato a registrare nell’agosto dell’anno scorso mettendoci completamente nelle sue mani: nonostante lui e Don Smith, quello che ha registrato e missato il disco, provenissero da un mondo musicale piuttosto distante dal nostro, si sono dimostrati professionali e fedeli al nostro spirito. Spirito che negli ultimi anni era meno rabbioso, quindi più disponibile a confrontarsi con altri punti di vista: cinque anni fa non saremmo riusciti a lavorare con un produttore, con qualcuno esterno alla band. Dopo gli esperimenti fatti con Acme, una sorta di Frankenstein fatto di parti diverse, volevamo essere più terra terra, ma senza essere lo-fi. Volevamo mediare l’energia che abbiamo sul palco con un suono altrettanto potente, ma più dinamico.”
In un certo senso Plastic Fang sembra essere un greatest hits della Blues Explosion, seppur costituito solo di pezzi nuovi: una summa del lavoro finora svolto dai tre. “Siamo cresciuti”, dice Spencer, “cresciamo continuamente di concerto in concerto, di disco in disco, facendo sempre ciò che più ci soddisfa: ci gestiamo da soli, non abbiamo manager, abbiamo sempre avuto un’attitudine punk rispetto al fare musica, senza mai metterci nelle mani di qualcun altro. Non abbiamo contratti particolari: abbiamo registrato il disco coi nostri soldi e poi lo abbiamo venduto, se così si può dire, alla Mute che ci ha finanziato la produzione e la promozione a lavoro ultimato. Continuiamo a fare quello che più ci piace, mantenendo la nostra libertà creativa: divertendoci, insomma, ma lavorando con serietà.”
Plastic Fang annovera tre ospiti illustri e, in un certo qual modo, inaspettati: Bernie Worrel (tastierista dei Funkadelic), Dr. John ed Elliott Smith. “Bernie e Dr. John sono stati un’idea di Steve Jordan, noi li conoscevamo solo di fama. Quella di Smith, è stato una mia idea per il pezzo Tore Up & Broke: sentivo il bisogno di un sostegno, di qualcuno che cantasse con me. Può risultare una sorpresa la sua presenza in un disco della Blues Explosion, o semplicemente la constatazione che ormai siamo così conosciuti che possiamo anche permetterci chi vogliamo!”
Anche se Jon è il frontman, è noto quanto quello della Blues Explosion sia un lavoro di gruppo, in cui la costruzione delle canzoni è fatta da tutti e tre gli elementi assieme. “Suoniamo e le canzoni vengono fuori: c’è questa alchimia tra noi tre, per cui sappiamo incastrarci a dovere, creando sempre il groove giusto. Cresciamo musicalmente e umanamente insieme e singolarmente, ognuno è il gruppo e allo stesso tempo ha una sua totale autonomia: ci sono stati momenti difficili, come in tutte le famiglie, ma non posso che sentirmi fortunato a suonare con Judah e Russell, e non potrei cambiarli con nessun altro. Se non ci fossero loro, sarebbe un’altra cosa. Il legame che ci unisce non permette che sul palco ci sia qualcun altro a suonare con noi.”
E comunque va detto che tutti e tre hanno ‘distrazioni’ al di fuori della Blues Explosion: Judah coi suoi Twenty Miles, Russell ha da poco pubblicato un disco solista, oltre ad aver registrato uno splendido album coi Butter 03, mentre Jon si occupa, insieme alla moglie Cristina, dei Boss Hog, che gli hanno dato più d’una soddisfazione, nonostante i continui litigi tra i due. E non bisogna dimenticare i due dischi registrati con R.L. Burnside, quello con André Williams, quello con Dub Narcotic Sound System e la produzione dei Demolition Doll Rods da parte di Jon: insomma una serie di impegni che si legano nel comune amore per il rock’n’roll e che s’influenzano a vicenda.
“E difficile riconoscere cosa ha influito su cosa: va comunque detto che qualunque cosa noi tre si faccia dentro o fuori la Blues Explosion, sia musicalmente che non, finisce per avere un’influenza sulla musica che facciamo, è inevitabile. Noi suoniamo, traduciamo parte della nostra vita in musica. Se non fosse così, saremmo falsi.”
In 10 anni di carriera la Blues Explosion è sempre stata fedele alla propria strada e alla propria attitudine, non s’è fatta influenzare dalle mode del momento, ma piuttosto ha tratto dall’esterno spunti creativi. E’ il caso di Acme, in cui emerge prepotente uno dei generi musicali più americani: l’hip-hop. “Così come il blues o il rock’n’roll, l’hip-hop rappresenta meglio di altri generi l’essenza dell’America. Ascolto molto hip-hop, cose tipo Neptunes, Dj Shadow… Di quest’ultimo ho apprezzato particolarmente un mix fatto solo con 45 giri intitolato Brainfreeze, credo lo venda solo ai concerti.”
C’è poco altro da dire sulla Blues Explosion e sulla loro musica: è tutto lì, in dischi e canzoni capaci di raccontare la storia della musica americana, dallo stompin’ rock’n’roll dell’esordio omonimo alle inflessioni di sporco r&b di Orange, dal funk slabbrato di Extra Width alla rabbia scura di Now I Got Worry (il loro disco più punk), fino agli esprimenti di groove di Acme. E poi ci sono i loro concerti: imperdibili.
Barnaba Ponchielli, fonte JAM n. 82, 2002