Accade non di rado di trovarsi di fronte a dischi che al primo ascolto appaiono nulla più che oneste prove d’autore ma che, progressivamente, rivelano sfumature insospettate, acquistando uno spessore che non si era disposti a riconoscere. E’ il caso tipico dell’ultimo lavoro di Kieran Halpin, The Rite Hand. La fatica ed il piacere nell’accostarsi a questo album sono dipesi proprio dall’evolversi dello stato emotivo nei successivi ascolti. Ecco un’opera da prendere in considerazione.
Confesso, al primo approccio, a stento ho trattenuto la penna per liquidare The Rite Hand come l’ennesimo prodotto di uno dei tanti figli degeneri di Van Morrison. A farmi desistere da un tale impulso è stato il quarto brano: The Ghost In The Song, che mi ha fatto letteralmente sussultare e mi ha invitato ad una maggiore ponderazione.
Il disco in questione è davvero raffinato ed intimista. I richiami a Van Morrison nella struttura dei brani sono evidenti, soprattutto nel rifuggire da facili strofe accattivanti e nel prediligere la tensione progressiva e l’incedere incalzante.
Un riferimento possibile, strutturalmente, potrebbe essere l’ultimo Lee Fardon (Too Close To The Fire). Un prodotto notevole in definitiva. La voce di Halpin è profonda, intrigante, di impatto immediato. L’apporto dei musicisti è lineare, mai sopra le righe, e quindi ancora più degno di menzione. Il tessuto dei brani è sostenuto in gran parte dal pianoforte di Anith Kaley, vero asse portante dell’album in esame, in grado di creare un tappeto sognante tale da permeare l’intera opera.
Ad emergere è comunque la tensione drammatica della voce e dei testi di Kieran Halpin (fortunatamente allegati nel libretto). Una tensione chiaramente religiosa, resa palese già dai titoli: When The Water Turns To Wine, Angel Of Paradise e The Crucifix.
In conclusione, un album eccellente ed emozionante, caldamente raccomandato.
Round Tower RTMCD 56 (Singer Songwriter, 1993)
Luca Marconi, fonte Out Of Time n. 2, 1994