Abbiamo dimostrato, nella prima parte di questo articolo, che la voce è uno strumento di cui ci ha dotato madre-natura. E così determinante il suo apporto nell’esecuzione di un brano country o bluegrass (esclusi gli…strumentali!), che si potrebbe addirittura sostenere che il bluegrass venga in realtà eseguito da sette strumenti. Pertanto è fondamentale conoscere i principi che regolano una corretta emissione dei suoni, indipendentemente dall’impostazione, dal proprio registro sonoro o dal timbro.
Fornite le principali nozioni di acustica e di fisiologia dell’apparato fonatorio, ci concentreremo, in questa seconda parte, sulle nozioni di tecnica basilari a qualsiasi stile o genere vocale. Questa parte riguarderà unicamente il perfezionamento della singola voce, ovvero della singola linea melodica (orizzontale); pertanto concluderanno l’articolo alcune indicazioni sul lavoro di gruppo da porre in essere qualora occorra sovrapporre più linee melodiche, dando vita ad una armonizzazione (verticale).
Tecnica
La tecnica vocale è costituita da un insieme di ‘atti’ che presuppongono la conoscenza di quanto specificato nel paragrafo della fisiologia dell’apparato fonatorio. Ad esempio: se le corde vocali vengono poste in vibrazione da una colonna d’aria in fase di espirazione controllata, sarà importante capire come controllare la fase di espirazione; il controllo avviene grazie al diaframma.
Respirazione
Immaginiamo di dover affrontare un viaggio di 500 Km con la nostra autovettura. Recandoci dal benzinaio ci preoccuperemo di riempire il serbatoio della quantità di benzina sufficiente per non arrivare all’asciutto o con la spia in riserva. Allo stesso modo quando affrontiamo un brano vocale, ad es. un gospel, occorre valutare prima di tutto la lunghezza del viaggio, in secondo luogo il consumo di carburante.
1) La lunghezza del viaggio non consiste nell’estensione totale del brano, ma di ogni singola ‘frase’ tra un respiro e l’altro. Ogni respiro è come una tappa dal benzinaio per rifornire il serbatoio. Prima di affrontare vocalmente un brano il gruppo deve riunirsi a tavolino e analizzare la ‘forma’ del brano: vale a dire individuare le frasi tra un respiro e l’altro per ogni singola voce. Un brano ‘omoritmico’ (tutti allo stesso ritmo) avrà i respiri per tutti negli stessi punti, un brano non omoritmico (ad es. un gospel con domanda e risposta) potrà avere alcuni respiri sfasati rispetto alle altre voci. Ciò che conta è stabilirlo a priori.
2) Per ridurre il consumo di carburante è sufficiente impadronirsi della tecnica di respirazione. La tecnica di respirazione non può fare a meno del diaframma, muscolo del quale è importante prenderne coscienza fisica.
Esercizi consigliati per ‘prendere coscienza ‘del diaframma:
Esercizio n° 1:
fase 1) svuotare i polmoni espirando;
fase 2) inspirare profondamente ma lentamente dal naso (non alzare le spalle);
fase 3) apnea (pausa di 2 o 3 secondi per stabilizzare la colonna d’aria);
fase 4) espirare lentamente pronunciando una ‘f ‘.
Vince chi dura più a lungo e chi riesce a mantenere uniforme l’uscita dell’aria.
Esercizio n° 2:
Uguale al n° 1 fino alla fase 3, poi espirare pronunciando una ‘s’.
Più difficile perché esce più aria di prima;
Esercizio n° 3:
Uguale al n° 1 fino alla fase 3, poi aprire completamente la bocca e far uscire l’aria come se si stesse sbadigliando (si consiglia di deglutire, prima, altrimenti …ci si sputacchia l’uno contro l’altro!).
E’ quello in assoluto più veloce e complicato da controllare, ma si avvicina maggiormente alla realtà del canto vero e proprio.
Esercizio n° 4:
Uguale al n° 1 fino alla fase 3, poi far uscire l’aria a scatti con le labbra completamente chiuse: sentirete che per spingere userete i muscoli addominali e quindi anche il diaframma.
Potranno sembrare esercizi stupidi, ma in realtà sono indispensabili per ogni cantante che si rispetti. Ricordate, però, che la tecnica non è fine a se stessa, ma deve essere il mezzo per esprimere la propria musicalità: quindi cercate di mettere in pratica quanto allenato tecnicamente, in ogni frammento che vi accingerete a studiare.
Articolazione
Un altro ‘atto’ fondamentale da compiere su ogni strumento consiste nello studio dell’articolazione, della cinetica. Quando cantiamo sono interessati al movimento i muscoli facciali, la mandibola, le labbra, il palato molle e la lingua. Il controllo consiste nel compiere un corretto movimento, ma anche nell’impedirlo del tutto. Ad es. i muscoli facciali, quali fronte, sopracciglia ecc…, è sempre meglio non tenderli, già i trattati di canto del ‘500 sostenevano che cantare è un’arte naturale e spontanea, pertanto la tensione del viso che pregiudichi l’emissione sonora è da eliminare in quanto sintomatica di stress e innaturale. Ma lo studio dell’articolazione si rivolge essenzialmente alla ‘coscienza del palato molle’ e alle consonanti. Non ci addentriamo in specifici esercizi, perché si riferiscono ad alcune impostazioni vocali che a noi non interessano. Ricordate comunque che le consonanti non sono un suono, ma l’articolazione di labbra, lingua ecc… deve permetterne la comprensione.
Pronuncia
Immaginate un raggio laser di colore rosso. Una lama lo attraversa e lo interrompe ripetutamente. Il laser è la vocale e la lama rappresenta la consonante. Quando si cala di intonazione una delle cause principali è l’instabilità del raggio laser. Tale instabilità è correlata da un lato alla uniformità della colonna d’aria e dall’altro alla pronuncia. Con pronuncia non intendiamo riferirci alla conoscenza di una specifica lingua, bensì alla diretta conseguenza di una articolazione corretta sulla emissione delle vocali. Come detto poc’anzi le consonanti non sono un suono, pertanto la pronuncia è avvertibile dalle vocali. Il segreto sta nel ‘portare in avanti il suono’ curando che l’articolazione sia il più possibile rilassata. Vi propongo, per le prime volte, questi esercizi:
Esercizio 1:
a) espirare;
b) inspirare lentamente dai naso (non alzare le spalle);
c) breve apnea;
d) pronunciare la ‘u’ (come nota ad es. un sol) arrotondando le labbra in avanti senza eccessiva tensione, ma anche senza passività.
Esercizio 2:
d) pronunciare la ‘o’ aprendo un poco la bocca in verticale, arrotondando le labbra in avanti senza eccessiva tensione, ma anche senza passività;
Esercizio 3:
d) pronunciare la ‘a’ aprendo ancora un poco la bocca in verticale, arrotondando le labbra in avanti senza eccessiva tensione, ma anche senza passività.
Esercizio 4:
d) pronunciare la ‘e’ abbassando un poco la bocca in verticale (lasciar cadere la mandibola), arrotondando le labbra in avanti senza eccessiva tensione, ma anche senza passività; appoggiare leggermente la lingua alla base inferiore dei denti per non ingoiare il suono;
Esercizio 5:
d) pronunciare la ‘i’ abbassando un poco la bocca in verticale (lasciar cadere la mandibola), arrotondando le labbra in avanti senza eccessiva tensione, ma anche senza passività, appoggiare decisamente la lingua alla base inferiore dei denti per non ingoiare il suono;
Esercizio 6:
Passare tutte le vocali in quest’ordine u-o-a-e-i cercando di non modificare la tensione facciale se non sulle labbra. Ricordatevi che l’articolazione corretta prevede che i passaggi tra una vocale e l’altra consistano in un movimento della mandibola in VERTICALE e non in orizzontale, come spesso si assiste ..nei karaoke!
Specialmente nei gospel a cappella, se desiderate che il suono sia corposo e ‘arrivi’ più definito e se non volete che il suono ‘arretri’, è importante portarlo in avanti: a volte è sufficiente scurire semplicemente qualche vocale nei passaggi più difficili o nelle note tenute. II pubblico deve vedere muoversi la vostra bocca, la passività porta il suono ad arretrare sistematicamente.
Intonazione
Ed eccoci al punto più delicato. E’ un lavoro che richiede tempo, pazienza e, a volte, anche denaro (per un maestro). Per chi ha problemi d’intonazione si consiglia di lavorare molto sul solfeggio cantato e di esercitare l’orecchio in manierà intelligente, al riconoscimento delle tonalità, dei rapporti armonici e degli intervalli. Una cosa molto utile è cantare in un (buon) coro: si è all’interno dell’armonia, attraverso la propria melodia si costruisce il tessuto armonico e l’orecchio si abitua presto a riconoscere salti, variazioni cromatiche, modalità, e così via…
L’impostazioae vocale è diversa (ricordate che anche il pianista jazz deve fare le scale..), ma l’esperienza è musicalmente molto formativa e divertente.
Come esercizi propongo di acquistare un libro di solfeggio cantato sul quale troverete una serie di vocalizzi che gradualmente sensibilizzeranno il vostro orecchio sul riconoscimento di suoni fondamentali, di intervalli di terza, quarta e sesta, di dominanti, settime diminuite e no, ecc… E’ il ‘Micheli-Solfeggi cantati’ Edizioni Nazional e dovreste trovario nei negozi di musica più forniti.
Il consiglio è di intonare con il vostro strumento la prima nota e provare ad eseguire da soli il resto dell’esercizio; ogni tanto controllare se l’intonazione è calata o meno.
Esercizio n° 1:
Provate ad eseguire la scala di do maggiore (sul pianoforte partire dal do fino al do successivo sempre sui tasti bianchi) molto lentamente. Con il vostro strumento prendete la prima nota (il do). Cantate le seguenti fino al sol. Controllate con lo strumento se il sol è intonato. Se non lo è correggetevi. Prendete un respiro e proseguite fino al do dell’ottava. Qui controllate l’intonazione e tornate indietro fino al fa e poi nuovamente al do.
Esercizio n° 2:
Provate ad eseguire la scala ‘cromatica’ (sul pianoforte partire dal do fino al do successivo sia tasti bianchi che neri) molto lentamente. Come sopra. Stabilite a priori i punti dove fermarsi a controllare l’intonazione e a prendere i respiri. Questo esercizio è molto utile per prendere coscienza dell’intervallo più piccolo: il semitono. E’ infatti una scala, quella cromatica, tutta composta da semitoni. Potete cantarla anche senza dire il nome delle note, semplicemente pronunziando una ‘o’.
Attenzione a questi punti fermi validi per ogni esercizio di solfeggio cantato:
-eseguirlo molto lentamente;
-concentrarsi sui semitoni (mi-fa e si-do): spesso è qui l’errore;
-sicurezza nell’attacco vocale: l’incertezza a volte provoca o nasconde errori;
-non troppa pressione: si rischia di ‘crescere’ d’intonazione;
-scurire un pò tutte le vocali (‘a’ come fosse ‘o’): aiuta l’intonazione;
-prendere sempre un respiro ad ogni ripresa di frase;
-cantare con rilassatezza: la tensione è controproducente;
-busto dritto e possibilmente in piedi.
Potete inventarvi altri esercizi: ad esempio se c’è un passaggio di un gospel dove spesso siete insicuri, prendetelo separatamente e cantatelo lentamente controllando ogni tanto l’intonazione suonandolo con lo strumento. Dopodiché portatelo un semitono avanti e fate la stessa cosa. Proseguite fino ai limite della vostra estensione e poi tornate indietro, sempre di semitono in semitono.
Tecnica d’assieme
In realtà questo argomento verrà trattato più approfonditamente in un successivo articolo di ‘On Stage’ da Martino Coppo, che farà riferimento alla tecnica vocale in relazione allo stile country e bluegrass. Mi limito solo a dare alcuni suggerimenti tecnici validi in linea di massima per chiunque voglia cantare a più voci. Supponiamo che vogliate affrontare lo studio di un gospel a cappella:
a) stabilire la propria estensione vocale: se le voci sono quattro le chiameremo basso – tenore – contralto e soprano, dalla voce più bassa a quella più acuta. In realtà, se il vostro è un gruppo maschile, le estensioni possibili sono:
-BASSO (la nota più bassa è, in genere, il fa)
–BARITONO (la nota più bassa è tra fa e lab)
–TENORE (la nota più bassa è un do e quella più alta, di 2 ottave, tra sol e la)
–CONTROTENORE (la nota più alta va oltre il la)
Quando siete caldi di voce, controllate la vostra estensione partendo dal do centrale del pianoforte e scendendo di una ottava. Chi scende oltre il secondo do sarà basso o baritono, gli altri tenori o controtenori. A questo punto, sempre dal do centrale, provate a salire. Chi sale più in alto (senza sforzo e senza stimbrare la voce) sarà il soprano (controtenore), cioè chi canterà la nota più alta di ogni accordo (che non necessariamente sarà il lead vocal).
b) prendere le rispettive note di partenza in maschera;
c) pronunciare assieme una ‘o’ sul primo accordo. Questo è un trucco essenziale per cercare gli ‘armonici’. Mi spiego. A volte potrà capitarvi, nel provare un accordo, di sentirlo vuoto, freddo. Altre volte sarà pieno e In questa seconda ipotesi avrete trovato ‘gli armonici’, quei suoni naturali che si creano per sovrapposizione ad una nota fondamentale. E’ fondamentale, per chi canta gospel a cappella, sviluppare senso della polifonia, cercare costantemente un suono corposo. Quante volte ascoltando Doyle Lawson e Quicksilver abbiamo esclamato, “sembrano un organo”. A prescindere dai ‘mixaggi’ digitali, la stessa corposità la si può ottenere in acustico (se il locale non assorbe troppo le vibrazioni).
d) se vi accorgete di calare o di crescere di intonazione al termine del brano, controllatelo frase per frase e nei punti critici fermatevi sui singoli accordi a quattro voci. A volte il calo d’intonazione si cela in qualche vocale troppo chiara (occhio quindi al testo dove ci sono ‘i’ oppure ‘a’); a volte si cela nei salti di seconda o quarta eccedente o nei salti particolarmente ampi (sesta…). Il controllo dei singoli frammenti, oltre a ricercare la sonorità e la polifonia, sviluppa il senso mnemonico dell’intonazione dell’accordo (occhio che sia intonato). Eventualmente potrete ricontrollare le rispettive note dell’accordo in questione con l’aiuto di uno strumento, e provare l’accordo facendo entrare una voce per volta dal grave all’acuto.
Buon lavoro!
Andrea T. Gambetti, fonte Country Store n. 23, 1994