Lee Marvelous non è il nome di un solista, bensì di un quartetto di hard-country che viene (udite, udite) dalla Svezia. Peter Frovlik (voce solista e chitarre), Inge Norlin (voce corista e chitarre), Andrew Dry (voce corista e basso) e Johan Sundberg (voce corista, batteria e percussioni varie) si mettono insieme nel 1997 dopo aver assistito ad un concerto di Johnny Cash tenutosi appena fuori Stoccolma e decidono di tentare la carta della carriera artistica in campo musicale.
I due vati ispiratori del gruppo sono naturalmente Johnny Cash e Hank Williams Jr., con una leggera predilezione per the Man In Black, almeno a giudicare dall’uso che viene fatto della chitarra baritono, una sorta di ‘marchio di fabbrica’ del grande Johnny.
Come anticipato prima, il sound è un country fortemente hard-core, senza fronzoli ed effetti speciali (ascoltate il bridge dell’iniziale Stockholm Ain’t The Way), influenzato anche dal rock’n’roll di Elvis Presley e dall’outlaw country più ruspante (No Way), oltre ad un’attento orecchio per le melodie più tradizionali, quali l’evidente accenno alla melodia di The Yellow Rose Of Texas nel title-track.
That Might Be She farebbe la gioia di qualsiasi artista di major, con quel suo passo spigliato, veloce e fortemente accattivante, Pale White Punk imbracci ancora la chitarra baritono, oltre ad un banjo che lavora di fino in sottofondo, il tutto condito dalla voce di Peter Frovlik, davvero bella e maschia.
Me And Johnny non è dedicata al grande Cash, ma non manca di appeal con un fiddle intrigante Ralf Fredblad) in bella evidenza, mentre Lovely Lorna si perde nel romanticismo che decanta le doti della fanciulla di turno.
Big Strong Man riporta di prepotenza la figura di Johnny Cash, che sicuramente sorride bonariamente ascoltando questi ragazzi rendergli omaggio in modo tanto palese.
In soli trentaquattro minuti i nostri nuovi amici riescono a condensare la bellezza di tredici brani, uno più gradevole dell’altro e se questo è il loro esordio (come in effetti è) allora non vediamo l’ora di ascoltare il loro secondo disco, aupicando si tratti della conferma di quanto di buono è contenuto nel primo.
Come sempre la coraggiosa indie svedese Dusty Records si è confermata saggia ed abile talent scout per cuii onore al merito e complimenti a Jan Andersson e a tutto lo staff: great job, guys!
Dusty 15 (Traditional Country, 2003)
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 71, 2004