Confido nel fatto che abbiate già assimilato, interiorizzato e radicato nelle vostre coscienze i concetti esposti nel primo episodio di questa telenovela stampata, e dopo avere ringraziato chi si è preso la briga di farmi i complimenti per l’iniziativa, passo a discutere in breve materiali e tensioni, tenendo presenti considerazioni di base tipo “set-up non vuol dire cambiare il nostro strumento completamente”.
Materiali
Già sappiamo che ‘materiali di qualità inferiore ‘ non producono un buon suono. Ciò non significa, però, che anche materiali di ottima qualità non possano dare risultati deludenti. Un esempio?
Un giorno Blondie, il mio RB3 di mogano anno 1937 [se escludiamo manico e tone ring…] si mette a suonare non troppo bene, la 4a corda è debole e frigge, la 1a corda non ha corpo. Diagnosi dopo rapido esame: i solchi del capotasto sono troppo scavati, non ancora da friggimento totale ma al limite. Recupero un pezzo di avorio dalla mia cassettina e mi faccio un nuovo capotasto. Solchi perfetti, riacquistati presenza e corpo su tutte le corde a vuoto, tutto okay salvo che il timbro è di una freddezza siderale. Resisto una settimana, poi faccio un nuovo capotasto, questa volta di meno nobile osso, e Blondie torna a suonare come dovrebbe. Allora chiamo uno dei miei guru, Tom McKinney, ex-proprietario di Blondie, e lui con la massima naturalezzami dice: “L’avorio dá un suono brillante e forte ma freddo, il caro vecchio osso ha meno volume ma ha calore, non lo sapevi?”.
Arrossisco in intercontinentale, e dopo circa 3 anni passo a voi l’informazione… Ampliandola il più possibile, per adattarla a tutti gli strumenti a corda.
Il concetto di fondo è: più compatto è il materiale di capotasto e ponticello, meglio saranno trasferite le vibrazioni delle corde, considerando però che anche l’elasticità (per quanto relativa) del materiale ha la sua importanza, come anche l’assorbimento di alcune frequenze. In questo modo per il capotasto avremo, in generale, scelta possibile fra ebano, osso, avorio e madreperla, in ordine crescente di durezza (su alcune elettriche vedrete anche usare la grafite).
In qualsiasi strumento, l’ebano sarà il materiale che dará il suono più caldo ma meno forte, con possibile ‘taglio’ di alcune frequenze acute, e la madreperla il suono più forte e brillante, con possibile ‘taglio’ di armoniche basse o medio-basse.
Troverete l’ebano su vecchie chitarre Martin e banjos di fine secolo scorso (anche sulle Santa Cruz modello Norman Blake), e troverete la madreperla, ad esempio, sui Gibson Granada e #6.
A voi, come sempre, la scelta, che deve essere solo dettata dalle vostre preferenze in termini di suono, e decisa possibilmente solo dopo avere provato tutto (o quasi): potrete accorgervi, come è successo a me, che su certi strumenti dalla timbrica di base calda la madreperla al capotasto funziona benissimo, addirittura esaltando la tonalità calda del suono.
Fabbricarsi un capotasto e installarlo sul vostro strumento non è cosa troppo difficile, e come sempre nel dubbio potrete affidare il compito al solito liutaio di fiducia.
Più facile, solitamente, è lavorare sul ponticello, specialmente su chitarre e banjo. In qualsiasi chitarra flat-top potrete sostituire il cosiddetto ‘osso’ del ponte semplicemente togliendo le corde e sfilando l”osso’. Qui la scelta è un po’ più limitata: di solito si gioca su osso e avorio. Tenete presente che l’avorio è oggi di provenienza illegale, se non è fossile (cioè preso da animale morto da almeno 100 anni), quindi vi costerà un tantinello o metterà a prova la vostra coscienza ambientalistica. Di solito, però, dá risultati buoni, anche perché la timbrica di una chitarra sarà meno influenzata dall’osso del ponte, rispetto ad altri strumenti naturalmente, che non da altri fattori (legni, corde etc). Molto diverso il discorso per il mandolino, l’aggiunta di un ‘inserto’, intero o a segmenti, di osso o di avorio sulla sommità del ponticello varierà sicuramente il suono in misura notevole, dando più brillantezza e chiarezza, sicuramente però a discapito delle armoniche medio-basse (il suono dei mandolini di Jimmy Gaudreau, per fare nomi, è un esempio di questo tipo di suono, quello di Doyle Lawson al contrario non fa proprio pensare ad un ponte con sommità di osso o avorio).
I malati di banjo, infine, sanno di avere a disposizione ponticelli di diversi tipi, con una scelta ampia di materiali. La sommità del ponte è quasi obbligatoriamente di ebano, anche se c’è chi usa osso o avorio, spesso a inserti per ogni singola corda, ed è sul ‘grosso’ del ponte che si scatena maggiormente l’inventiva: l’acero la fa da re, anche per questioni di costo, ma esistono in giro ponticelli dei legni più svariati, ognuno con caratteristiche acustiche diverse. In questi casi, naturalmente, oltre al legno in generale conta moltissimo la stagionatura dello stesso, la ‘venatura’ delle fibre (frequenza delle linee, orientamento, regolarità etc), e la forma globale del ponticello, con particolare e molto decisiva attenzione per lo spessore. Ne riparleremo più in dettaglio: qui voglio solo dirvi che il materiale conta, ma non è così determinante come in altri strumenti (c’è chi produce ponti di materiali sintetici, quindi…). Avremo caratteristiche sonore decisamente diverse in ponticelli apparentemente identici, e viceversa, perciò ne dovremo riparlare altrove. Anche per tentare di accontentare tutti, non solo i banjoisti…
Il concetto di fondo di lavorare sullo strumento senza voler cambiare tutto deve essere sempre tenuto presente: sicuramente se mettiamo un manico di mogano, o di acero,o di noce sulla stessa cassa di banjo (‘Noi’ la chiamiamo ‘pot’) avremo tre suoni del tutto diversi, ma non mi addentrerò in questi discorsi per ovvie ragioni economiche (il manico di qualsiasi strumento costa almeno mezzo milione…). Limitiamoci alle piccole cose poco costose che possono essere ritoccate con grandi risultati.
Tensioni
Non sono un liutaio, né mai mi sono azzardato a tentare di modificare strumenti in modo radicale: potrò quindi peccare di imprecisione qua e là, e forse esporrò concetti discutibili (cosa ha valore assoluto in liuteria?…), ma quello che dirò è in ogni caso frutto di esperienza, quindi ascoltate, fratelli.
Ogni strumento a corda ha una sorta di ‘tensione ottimale’ delle parti che lo compongono, tale da farlo risuonare al meglio delle proprie possibilità ed esaltare tutte le frequenze che lo strumento è in grado di riprodurre. Ciò non significa, naturalmente, che tale tensione ottimale dia allo strumento il suono che voi amate, ma questo sarà un problema vostro, nel senso della scelta di quello strumento particolare (vedi premesse). La suddetta tensione ottimale è in parte conseguenza diretta e inevitabile dell’elasticità del legno di cui sono fatte le varie parti (manico, tastiera, cassa, etc.), in parte del modo in cui queste componenti sono state messe insieme, ed è su questo dato che possiamo, spesso, andare a lavorare.
Legni diversi conducono le vibrazioni in modi diversi, ma uno stesso manico di acero o di mogano condurrà il suono in modi diversi a seconda della tensione a cui è sottoposto. Scendiamo nel pratico: quasi tutti gli strumenti con cui avrete a che fare, salvo gli archi e alcune chitarre (vecchie Martin anni ’41- ’46, o moderne repliche di quelle), avranno una ‘truss rod’ (asta di tensione) regolabile nel manico, sotto alla tastiera, agendo sulla quale potremo modificare in una certa misura la curvatura del manico stesso.
Se ancora non lo sapeste, vi comunico che è universalmente considerata ‘giusta’ una lieve curvatura in avanti (tastiera concava), tale da dare un po’ di spazio alle corde per vibrare, così come è giusta per la stessa ragione una lieve inclinazione verso il basso (‘fingerboard relief ‘) della tastiera sulla tavola. Il problema è quantificare questa ‘certa’ curvatura: da alcuni sentirete dire che è meglio una tastiera perfettamente dritta, ma di solito si considera ‘giusta’ quella curvatura che lascia uno spazio di circa 1 mm o poco più fra corda e 7° tasto, con la corda (di solito si usa l’ultima per comodità) premuta su 1° e ultimo tasto. Se notate stó dando per scontato che l’angolo manico-cassa sia corretto, cioè che non stiate nemmeno pensando di usare l’asta per modificare sensibilmente l’action del vostro strumento (mai ! ): vogliamo solo ottenere una curvatura corretta di manico e tastiera, e fatto questo ci accorgeremo, quasi sempre, che ad un’asta notevolmente tirata (con tastiera e manico compressi come conseguenza) corrisponde, solitamente, una minore sonorità dello strumento.
Ciò è decisamente evidente, per me, sul banjo, dove spesso si scatenano le frenesie devastatrici dei sedicenti aspiranti para-liutai… Alzi la mano il banjoista che non ha mai modificato curvatura e assetto del manico per ottenere una determinata action, quando sarebbe bastato cambiare ponticello…
Ma succede anche sul mandolino, di solito quando il mandolinista si accorge che Monroe ha (o aveva in una certa foto del 1958) un’action di 6° grado superiore, o che McReynolds ha le corde che quasi appoggiano sui tasti… E giù a girare le povere viti del ponte (che infine si spanano) senza pensare che un ponte più alto o più basso darà una diversa tensione allo strumento intero e quindi un suono diverso. E parliamo pertanto di:
1) action: cioè l’altezza delle corde sulla tastiera.
Ogni strumento, quando esce dalla bottega del liutaio o dalla fabbrica, ha o dovrebbe avere un’action studiata per la massima facilità di esecuzione e per la famosa tensione ottimale dello strumento. Ciò non sarà vero per il mandolino da 120.000 lire made in Bangladesh o per il banjo di una nota casa italiana, ma di solito è vero per gli strumenti buoni.
Abbassare l’action (nei vari modi possibili) darà maggiore facilità al lavoro delle mani e manterrà l’intonazione accurata, ma ridurrà l’angolo delle corde sul ponte e quindi la pressione che le corde esercitano sulla tavola armonica e con essa la sollecitazione della tavola stessa (cioè la trasmissione delle vibrazioni delle corde): il risultato, quasi sempre, sarà un indebolimento del volume e della risposta, più o meno pronunciato a seconda della bontà dello strumento e di quanto viene ridotto l’angolo delle corde sul ponte.
Alzando l’action la maggiore pressione delle corde sul ponte solleciterà maggiormente la tavola armonica, accrescendo perciò volume e risposta dello strumento, ma oltre un certo punto si avrà imprecisione dell’intonazione, e sicuramente le mani non saranno più molto riposate… E in ogni caso oltre un ‘certo punto’ la pressione eccessiva sul ponte inibirà le vibrazioni della tavola armonica, quindi quasi paradossalmente non si avrà il desiderato miglioramento di risposta e volume, e si avrà una perdita di sonorità sulle frequenze basse e medio-basse (cioè le frequenze a vibrazione più ampia).
Non esisterà forse un’action ideale valida per tutti i musicisti e per tutti gli strumenti, ma sicuramente gli estremi di tensione (nel senso di pressione sulla tavola) indotti da action estreme non saranno mai l’ideale per il suono di nessuno strumento. Non essendo il mondo fatto di soli bianchi e neri, però, consideriamo i grigi intermedi, e teniamo quindi presente che avremo diversi comportamenti del nostro strumento in virtù di tutte le diverse possibili tensioni intermedie causate da tutte le diverse possibili action intermedie.
Non fissiamoci quindi sull’action extraalta per il nostro banjo e sul ponte da 3/4″ perché J.D.Crowe teneva così il proprio banjo ai tempi in cui suonava con Jimmy Martin, e non fissiamoci di avere un’action daTelecaster sul nostro mandolino perché si fatica meno: dobbiamo trovare il perfetto compromesso tra sonorità e suonabilità del nostro strumento, non imitare altri o sognare di avere un buon suono con le corde rasoterra…
2) assetto manico-cassa.
Sappiamo già che questo è un dato critico per la trasmissione del suono, in quanto un manico lasco, con un’inutile spazio fra zocchetta e cassa, non aiuta certo la trasmissione del suono. Dobbiamo però tenere presente che questa giunzione è anche fondamentale per determinare l’action (già detto, lo so..) e quindi la pressione delle corde sul ponte, ma anche che la trasmissione delle vibrazioni può essere compromessa da un’eccessiva tensione, non solo dal ‘lasco’ di cui sopra. Non per niente alcuni liutai contemporanei si possono permettere di non mettere più colla nell’incastro (a coda di rondine o meno) del manico delle chitarre che costruiscono, incastro che è naturalmente perfetto e non soggetto a tensioni o a perdite di contatto, e non per niente banjo e dobro devono avere il contatto manico-cassa perfetto in partenza, non avendo mai avuto colle in questa sede.
Contatto perfetto significa non necessità di tensione esagerata per far viaggiare il suono: non sarà necessario essere liutai per sentire questa sonorità libera dello strumento. Quindi se sentite che il suono è soffocato, o troppo chiuso, o comunque poco ‘libero’, date un’occhiata (o fatela dare da un liutaio) al contatto manico-cassa, soprattutto se notate parallelamente che l’action è ‘non ideale’. Nel caso del banjo fate ciò prima di cominciare a cazzeggiare con aste, dadi, spessori e diosolosa che altro: a volte basterà verificare che i vitoni del manico siano stretti ‘giusti’, non poco e non troppo, e come per incanto avrete action e sonorità ‘giusti’..
Nel prossimo numero scenderò nel dettaglio dei vari ‘come’ e ‘perché’ su action e manico, quindi inizieremo a parlare in dettaglio dei vari strumenti. Per il momento lasciate gli attrezzi nella cassetta, e se avete un problema rivolgetevi a un liutaio di fiducia. O al limite a me… Bye.
Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 24, 1994