Banjo

Lorsignori non banjoisti mi scuseranno se inizio la mia più particolareggiata disamina delle differenti tecniche di set-up proprio parlando di banjo: non è per mia preferenza, è che il banjo, si sa, è l”auto truccata’ degli strumenti bluegrass, con le sue mille parti cambiabili, modificabili, cazzeggiabili, e le conseguenti mille possibilità di cambiamento (spesso in peggio) del suono e della suonabilitá. Inizio quindi a parlare di banjo, dando un pó per scontato che conosciate il nome delle parti che lo compongono, ma già rassegnandomi a spiegarle comunque, cosa che vado a fare subito, illustrando ovviamente solo quelle caratteristiche strutturali che più incidono su suono e set-up.

1) RIM:
è l’anello di legno, il cuore della cassa (non il noto lassativo di alcuni decenni fa!), anche se in alcuni banjo, spesso di qualità diciamo da principianti (ma non sempre!), può essere di metallo, ottone o acciaio che sia. Ha la funzione di sostenere il tone ring (v. oltre), su cui è distesa la pelle, di dare supporto ai mezzi di tensione della pelle, e di dare ovviamente attacco al manico e, quando presente, al risuonatore (v.). Il rim è quasi sempre costituito da laminazioni in numero diverso di un legno duro: lo standard stabilito dalla Gibson negli anni ’20 è di un rim a 3 strati, costituito da una lamina spessa di acero avvolta (e incollata) su se stessa.

Altri costruttori hanno usato tecniche diverse, con blocchi di grosse dimensioni o sezioni circolari incuneate fra di loro, ma per ogni tipo di rim vale la regola d’oro: pochi strati o blocchi (quindi meno incollature) sono meglio di tanti, con più spazi morti, colla e altre fonti di dispersioni del suono.

Il diametro del rim più comune a partire dagli anni ’20 è di 11″ (nel senso di pollici), ma in non pochi banjo troviamo diametri minori (fino a 9″ o poco più) o maggiori (fino a 14″, tanto cari a John Hartford). Per vostra tranquillità sappiate che tutti i banjo bluegrass hanno la misura standard di 11″, e anche i banjo ‘open-back’ da old time music sono oggi costruiti con rim quasi sempre da 11″. Tranquilli!… D’ora in avanti userò come base per ogni discorso il classico ‘Three-ply rim’ Gibson, ma quasi tutto si potrà applicare ad altri tipi di rim, fermo restando che da un rim a 12 strati non potremo aspettarci un gran suono…

Molti discorsi, spesso oziosi, sono anche stati fatti sullo spessore del rim, con sostenitori della bontà di un rim più spesso (come quello che trovate sui banjo con flangia tipo ‘tube & plate’ in 2 pezzi) e sostenitori dei meriti di un rim più sottile (come quello dei Gibson con flangia in un pezzo solo). Le mie preferenze vanno al rim spesso 5/8″, da flangia a un pezzo unico (e Sonny, Earl, J.D. e compagnia sono con me…), ma è pieno il mondo di banjo con rim da 3/4″ e flangia in 2 pezzi che suonano da dio (e qui Ron Block è con me), quindi lasciamo perdere i filosofeggiamenti… Anche su tipi di legno alternativi all’acero sono stati fatti esperimenti e discorsi, ma qui c’è meno da scegliere, quindi pensiamo solo all’acero e non stressiamoci con altri legni. Regola: senza un buon rim non esiste buon suono.

2) FLANGIA (FLANGE):
è l’anello metallico che, incastrato nel rim da ‘dietro’, dá attacco ai GANCI (HOOKS) che tendono la pelle tirando sull’ANELLO di tensione (TENSION HOOP). Come già detto può essere in un pezzo, con incastro in uno zoccolo del rim scavato a spese del suo spessore (che qui si riduce da 3/4″ a 5/8″), o in 2 pezzi sovrapposti, un tubo e una flangia piatta (tube and plate), con incastro in una sporgenza del rim (‘lip’) senza ‘sacrificio’ del suo spessore. In questo ultimo caso il rim è apparentemente più solido perché più spesso, ma il lip può saltare se sottoposto a tensioni troppo decise, o se costruito non proprio a regola d’arte, quindi non fate conto su questa apparente robustezza. D’altra parte la flangia in un pezzo solo Gibson ‘classica’ era fatta di un metallo ‘bianco’, lega di zinco di robustezza non eccelsa e abbastanza pronta a rompersi o più facilmente a piegarsi verso l’alto sotto la continua tensione dei ganci, quindi il criterio della robustezza non può essere l’unico da considerare… i banjo con flangia in un pezzo e rim da 5/8″ hanno in genere un suono più aperto e libero, più ‘risonante’ se così si può dire, mentre quelli con flangia tube & plate e rim da 3/4″ hanno solitamente un suono potente ma più ‘chiuso’ e un pó più povero.

La flangia in un pezzo solo fu introdotta da Gibson nel 1929, ed è di solito associata con la paletta tipo ‘double cut’, mentre la flangia tube & plate (associata con la paletta tipo ‘fiddle’) risale al 1925, preceduta da un semplice tubo, e ancora prima da ‘scarpe’ (‘shoes’) individuali per ogni gancio come quelle comuni agli altri banjo, Fairbanks Vega, Bacon, Farland o altri.

Per quel che riguarda il tension hoop e i ganci, troviamo fondamentalmente due tipi: il più vecchio anello con un solco nel senso della lunghezza, su cui si inseriscono ganci appiattiti, e il tipo più ‘nuovo’ (risale solo al 1927…) con tacche trasversali per ogni gancio, e ganci a sezione costante rotonda. Un terzo tipo, introdotto da Gibson nei primi anni ’30, aveva i ganci avvitati in fori filettati della flangia, e inseriti in sporgenze del tension hoop così da potere essere stretti o mollati dall’alto (‘top tension’) senza dovere smontare e rimontare il risuonatore (v. oltre), idea geniale in anni in cui le pelli naturali, di tensione estremamente variabile con l’umidità, potevano rendere isterico il povero banjoista, costretto a stringere tutto col tempo umido, mollare rapidamente con l’aria secca, e ristringere e rimollare continuamente… Il tipo con 24 tacche sembra più robusto, ma non c’è molta differenza; N.B.: i Gibson top tension erano TUTTI flathead (v. oltre), ‘dettaglio’ questo, invece, fondamentale per il suono.

3) COORDINATOR RODS:
ossia aste di attacco del manico al rim e di regolazione dell’angolo del manico. Inventate da Gibson, non le troviamo sui banjo di altra marca antecedenti agli anni ’20. In diversi modelli più ‘economici’ troviamo una sola asta, quella ‘inferiore’ (verso il risuonatore), mentre quella superiore è sostituita da un semplice dado. Se istintivamente pensate che l’asta singola sia un handicap, dato che questo sistema di attacco del manico è meno solido (vero, peraltro), vuol dire che non avete mai sentito il suono degli RB-1 di Renzo Bagorda e di Dario Lantero, o dell’ RB-250 di Pierluigi Carbone.

4) TONE RING:
il cuore di ogni banjo, è l’anello metallico che poggia sul rim, e sul quale viene lesa la pelle. La fantasia umana non si è forse mai scatenata come nel caso dei diversi tipi di tone ring: la sola Gibson ne ha brevettati almeno 8 tipi diversi, dal semplice tondino di ottone (comune a molte altre marche), a 3 tipi diversi di ‘ball bearing’, ai 2 tipi ‘archtop’, per arrivare ai 2 tipi ‘flathead’, a profilo alto o basso, introdotti nei primi anni ’30. Nei banjo bluegrass contemporanei troviamo ormai solo flathead e archtop, con maggiore prevalenza dei flathead sul mercato, verosimilmente per il fatto che Earl Scruggs, a partire dal 1946 o giù di lì, ha usato solo Gibson flathead.

Questo tipo di tone ring, oltre a dare ‘solidità’ al suono per il suo essere costituito di pesante bronzo, sfrutta per intero gli 11 pollici di diametro del rim, consentendo alla pelle di vibrare su una superficie più ampia di quella fornita dai tone ring archtop o ball bearing, producendo così un suono più ricco in armoniche, bassi e in genere ‘corpo’.

Il suono tipico dei banjo archtop, invece, è tipicamente più secco, con meno bassi e sustain, più ‘superficiale’ ma più scoppiettante. Earl Scruggs, per i meno esperti, ha il tipico suono di un flathead, e così Sonny Osbome, J.D. Crowe e centinaia di altri banjoisti, mentre troviamo il suono archtop nei banjo di Ralph Stanley, Larry McNeely, Rob McCoury, e di molti banjoisti che negli anni ’50 e ’60 non si potevano permettere un flathead…

Dagli anni ’30 ad oggi poco è cambiato nei tone ring, salvo ‘dettagli’ peraltro fondamentali come la lega di bronzo o la tecnica di fusione usati. Un buon tone ring costa oggi almeno 100 dollari, ma determina la differenza fra suono buono e cattivo, quindi è sempre sensato badarci, e preoccuparsi meno della spesa…

5) RISUONATORE (RESONATOR):
è la ‘padella’ di legno che fa da fondo in tutti i banjo che vedrete usare nel bluegrass, e in molti usati per altri generi. L’introduzione del resonator, negli anni ’20, ha reso necessaria la flangia, ma i resonator sono identici per flangia in 1 o 2 pezzi, quindi intercambiabili, perciò niente stress… Il ‘cuore’ di ogni resonator è costituito da pochi strati di acero, ma gli strati esterni (verso l’interno e l’esterno della cassa) sono dello stesso legno del manico, e contribuiranno al pari del manico a produrre il suono tipico di quel legno.
Nei banjo top-tension il fondo del resonator è scavato da un pezzo unico e piatto all’interno.

6) CORDIERA (TAILPIECE):
sembra niente, ma cambia il suono in maniera sbalorditiva, quindi consideriamolo. Molti i tipi, regolabili in tensione o meno, dal semplice ‘No-Knot’ di fine ‘800, ai diversi Waverly, al Gretsch che ho visto solo sull’RB-4 di Don Reno, al Kerschner, al Grover Presto in un paio di versioni, ai moderni Stelling e Price. Ne riparleremo, e molto, più avanti.

7) PELLE (HEAD), PONTICELLO (BRIDGE), CORDE:
parti che sono in grado di determinare profonde variazioni nel suono, ma che non sono tipiche di un singolo strumento, essendo sostituibili a piacere e quindi degne di capitoli a sé.

8) MANICO (NECK):
abbiamo già accennato alle notevoli differenze che i diversi legni determinano sul suono di uno strumento, e quanto detto si applica al manico di un banjo esattamente come per altri strumenti musicali. Troviamo manici di legni, strutture, spessori, profili e, per chi ci fa caso, decorazioni diversissime, e come per ogni altra parte di un banjo dobbiamo ricordare che spesso potremo sperimentare manici diversi sullo stesso banjo, senza dovere per questo ricorrere all’aiuto di un liutaio come sarebbe necessario per altri strumenti.

Naturalmente la forma di rim e flangia (o l’assenza di una flangia) determineranno profili diversi nella parte del manico che ad essi dovrà adattarsi (un manico per un banjo con flangia a un pezzo non potrà essere montato su un banjo con flangia tube & plate), ma gli esperimenti saranno comunque molto più agevoli che su uno strumento con manico incastrato e incollato nella cassa. E non fatemi dire ovvietà, su…

Per questa volta penso che basti, anche se vi immagino in acido, nell’attesa trepidante che inizi a parlare veramente di set-up. A risentirci nel prossimo numero.

Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 28, 1995

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