Confesso di provare qualche difficoltà ad entusiasmarmi all’ascolto di un disco di un nuovo musicista; ed anche in questo caso le cose sono andate così. Tuttavia in questo Charged Particles vi sono elementi di interesse che, al di là di un ascolto godibile o meno, meritano un approfondimento.
Marty Cutler, nome non ignoto a chi ha seguito da vicino le vicende più recenti della New Acoustic Music, è uno dei più apprezzati musicisti della nuova generazione, non fosse altro che per lo stile, molto progressivo, di suonare il ‘vecchio’ five-string banjo. La ricerca musicale di Cutler si svolge nell’ambito di una jazz-rock-country fusion. Al solito, si è costretti ad usare ‘cocktails’ di definizioni per tentare di dare un’idea di una musica che sfugge alle categorie alle quali siamo abituati. La stessa NAM, pur avendo essa stessa dei confini fin troppo vasti, ha questa funzione di classificazione.
Tornando all’album in questione, la novità non è costituita tanto dall’uso di uno ‘strato-banjo elettrico’ (!) o dalla presenza di percussioni, quanto nella perfetta assimilazione, da parte dello stesso Cutler, di fraseggi jazz-bop-rock, che convincono definitivamente della versatilità del banjo e delle sue ancora inespresse potenzialità.
Con questo non voglio attribuire a Marty Cutler dei meriti che non ha, ovvero che condivide con musicisti come Pat Cloud e Bela Fleck, anche se le sue ricerche di sonorità nuove, elettriche, dando a Trischka il ‘la’ per riferimenti a Pat Metheny! Mi chiedo cosa riuscirà a tirar fuori dal banjo un musicista che non debba percorrere, come è accaduto allo stesso Cutler, la classica trafila bluegrass banjo-melodic banjo etc., prima di affrontare sullo strumento qualcosa di completamente diverso.
Dando una scorsa al disco, si può notare l’originalità e la ricerca anche nei brani più legati alla tradizione, pur riproposti con semplicità (Handsome Molly e Angeline The Baker, eseguiti con soli banjo e Fender fretless bass suonato in stile slide) o nei brani jazz-bop, elaborati e con uso di percussioni e strumenti elettrici (Blue Serge, un brano fusion, o Au Schucks e Siluria, decisamente originali).
Non sempre i musicisti che accompagnano Cutler mi hanno convinto del tutto, come del resto la qualità tecnica dell’incisione, che danneggia gli ospiti, gente del calibro di Grisman, Marshall, Anger, Wasserman, Mittheroff, Kosek, Trischka, e scusate se è poco. Ovviamente risulta molto trischkiana la versione di Stoney Creek con lo stesso Tony al banjo, così come è ‘dawg’ la Siluria che vede impegnato, al fianco di Cutler, il ‘fu’ David Grisman Quartet.
Detto che la maggior parte dei brani sono scritti da Marty Cutler o da lui arrangiati da materiale tradizionale; detto degli apprezzabili interventi vocali di Michal Shapiro e del normale standard degli altri musicisti, concluderei ripetendo che l’album non mi ha entusiasmato, ma mi sembra un buon passo avanti nella ricerca musicale condotta dagli artisti che si riconoscono nella NAM.
Green Linnet SIF 1046 (New Acoustic Music, 1983)
Mariano De Simone, fonte Hi, Folks! n. 13, 1985