Michelle Shocked - Captain Swing cover album

Cessati gli echi del precedente disco Short Sharp Shocked così, per certi versi, sorprendente per come si inseriva nel momento caldo della rivalutazione del filone delle donne cantautrici, Michelle sembra rincorrere un’immagine, più desiderata che reale, di interprete a tutto campo.
E’ effettivamente un problema di ruolo, ne è possibile disconoscere che la sua figura di esordiente non fosse particolarmente adatta a raggiungere il grande pubblico e la notorietà.
Il ricordo della sua prima opera The Texas Campfire Tapes è patrimonio dei pochi che la comprarono all’epoca come materiale d’importazione, isolata testimonianza di un disa­gio giovanile che riadattava i temi della ribellione all’establishment, una produzione coraggiosa senza nessuna preoccupazione formale di edizione.
Era una ragazza con la chitarra acustica che descriveva con dignità non comuni po­sizioni radicali in un contesto estremamente ostile.
Di qui un ostinato pessimismo che colorava (di nero) anche il suo aspetto esteriore.
Esile, mascolina, con i capelli a spazzola, immobile davanti al microfono che faticava ad amplificare quel filo di voce. Pareva destinata alla scomparsa artistica, liquidata in breve da un mondo discografico che non sembrava appartenerle e che l’aveva voluta per caso. Attenti alle variabili impazzite di quel mondo, avevamo però avuto un’attenzione particolare per questo personaggio e la sensazione che potesse avvenire una mutazione positiva da quelle premesse.
Le novità successive contenute in Short Sharp Shocked non ci avevano colti impreparati e non fu per noi che una conferma che quelle striminzite canzoni erano delle buone canzoni senza con­torno e che la ragazza valeva. Il distacco da quel cliché triste, si è però definitivamente compiuto con questo terzo disco.

Traspare una serenità prima totalmente assente nelle composizioni ed una spigliatezza esecutiva che ci fa immaginare che il, pur contenuto, successo sia una iniezione di positiva fiducia sul morale di Michelle.
Funerea rimane purtroppo la copertina del disco anche se contiene simboli di speranza. Non si può certo pretendere troppo, perché certe connaturate propensioni esistenziali e autodistruttive sono indubbiamente attraenti in quanto diverse.
I testi delle canzoni sono intelligenti, meno acidi e fatalisti, mirano ai sentimenti ma al loro interno si rinvengono tracce sfumate di critica sociale e politica.
Intimismo e meditazione tengono lontana la banalità. Il disco si articola in dieci brevi quadri non omogenei, perché Michelle si cimenta forse troppo arditamente in canzoni che spaziano nei generi più diversi.
Certo la sua voce è molto cresciuta, più definita ed intonata, decisa e sicura, ma manca ancora la versatilità per affrontare una varietà di interpretazioni quale quella richiesta da musiche che si dissolvono in rapida successione.
La voce insegue l’arrangiamento sofisticato di una canzone orchestrata quale Too Little Too Late, poi si rilassa nel ritmo lento di Looks Like Mona Lisa, per poi scatenarsi nel rock and roll con singulto ed urletti in My Little Sister.
Non mancano neppure i brani che ammiccano al cool jazz con interpretazione alla Suzanne Vega come Street Corner Ambassador o al dixieland di Must Be Luff.
La parte migliore del disco è però rappresentata da quelle canzoni dove è presente una buona dose di sanguigno rhythm and blues.
Dietro a tutto rimane Pete Anderson, vero deus ex macchina produttore e chitarrista dal suono cristallino; lui ha realizzato la svolta decisiva nella vita artistica di Michelle e lui ha foderato le canzoni scarne ed essenziali di questi arrangiamenti, tondi e piacevoli.
Alla fine dunque il risultato è interessante e l’ascoltatore è divertito.

God Is A Real Estate Developer / On The Greener Side / Silent Ways / Sleep Keeps He Awake / The Lement Lament / (Don’t You Mess Around With) My Little Sister / Looks Like Monalisa / Too Little Too Late / Streeet Corner Ambassador / Must Be Luff

Polygram SNIR 25134 (Folk, Singer Songwriter, Country Acustico, 1989)

Fabrizio Genchi, fonte Hi, Folks! n. 38, 1989

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