La vita artistica di Michelle Shocked è estremamente trasparente, infatti sin dal primo disco è possibile rintracciare il filo logico che conduce al successo delle sue canzoni. Scoperta a Gilmer nel Texas in un locale festival, emigrata in breve tempo a Londra, non ha aspettato molto perché il suo nome potesse essere considerato fra quelli di primo piano nella nuova e, secondo me, artificiosa categoria degli artisti della strada, di quelli che con una chitarra in mano e qualche idea in testa possono realizzare un disco. Ritengo questa una spontaneità creata ‘ad hoc’ dall’industria discografica, dal momento che si è intuito che andava colmato un buco di qualità nella produzione discografica della musica leggera.
Ritorna la canzone d’autore e i paragoni con Bob Dylan, Joan Baez e via dicendo si sprecano. La cosa tuttavia non dispiace, purché comunque di qualità si tratti. Il fenomeno è rimarchevole, circoscritto a questi artisti che hanno le capacità necessarie, pare però che all’orizzonte comincino ad apparire un sacco di altre proposte da rifiutare. Dalla genuinità dei primi nastri, Michelle passa ad una sofisticata produzione mantenendo intatta la sua comunicativa. Due sono le novità principali: la prima è la bontà degli arrangiamenti, calzati perfettamente dalla scarna struttura originale dei brani, rispettosi della sensibilità musicale dell’artista. Essi forniscono al disco una dimensione ambientale confacente ai significati dei testi. Di primo piano anche i musicisti: da Byron Berline a Rod Piazza, virtuosi dei rispettivi strumenti. Ogni canzone si muove in un ambiente musicale adatto alle atmosfere più diverse delle canzoni, con richiami precisi al blues ed al country, in un impasto musicale piacevolissimo con abbondante presenza di strumentazioni sempre molto discrete.
L’altra novità è quella della maturazione della voce di Michelle; nei vari brani, quasi tutti da lei composti, c’è una interpretazione particolarmente efficace, creata da sfumature della voce che non le si conoscevano. In un’intervista di qualche tempo fa concessa ad Hi Folks!, c’eravamo resi conto della sua fragilità psicologica nell’affrontare questo ruolo non facile di interprete solitaria delle proprie emozioni; il problema era forse nel fatto che essa si poteva rendere conto di incidere molto poco sulla realtà sociale che descriveva riferita alle proprie esperienze. Oggi Michelle merita sicuramente un grande spazio di ascolto. Dopo la prova di debutto dove tutto era così approssimativo, ci parla con maggiore coscienza della sua vita, agganciandovi le considerazioni che dagli avvenimenti ne derivano. Il tutto ci viene offerto in modo meno irruento, sicuramente più poetico.
Il pessimismo rimane una costante del personaggio, pessimismo che trapela abbondantemente in Anchorage, che racconta il grigiore di un’amica che ha optato per una vita tranquilla in Alaska e che, angosciata, si chiede cosa succeda nella grande New York. E pure è presente la diffidenza per un sentimento come l’amore, dal quale ci si vorrebbe far travolgere come da un treno, ma che si considera più appropriatamente alla stregua di un toro selvaggio da poter cavalcare al massimo quindici secondi. Paragone appropriato per una donna che viene dall’East Texas.
A proposito di questo, in un altra canzone la cowgirl canta con dolcezza i paesaggi e le persone conosciute con un pò di tristezza e rimpianto. Rimpianto di un sabato sera passato in una cittadina a correre in automobile, secondo le pazze abitudini dei giovani di quei luoghi, rivalutando il fascino della libertà di divertirsi, magari soltanto ascoltando musica country a tutto volume. Michelle svela il volto della semplicità dei comportamenti giovanili e della loro importanza. Ci sono dunque tutti gli ingredienti per analizzare la vita sociale del giovane americano, per capire quali sentimenti lo muovano nel considerare le cose della vita; c’è anche una buona dose di ironia trattando della vita di chi si sistema e si soddisfa ridicolmente realizzando i sogni della vita borghese.
Essa rinnova così una critica al pensare comune che credevamo ormai quasi scomparsa. Storie personali dunque, ma anche storie di altri, come in Graffiti Limbo e in L+N Don’t Stop Here Anymore, manifesti di situazioni emblematiche della difficoltà di poter lavorare o addirittura vivere.
Michelle non è sicuramente nata per vincere, eppure inquieta meno di Rambo.
Cooking Vinyl CVLP 1 (Roots Rock, Folk, Singer Songwriter, 1988)
Fabrizio Genchi, fonte Hi, Folks! n. 33, 1988