Harvest è il disco più famoso di Neil Young, ma personalmente non credo sia il più bello. Contiene brani strepitosi ed epocali, ma anche gli esperimenti tutto sommato poco riusciti con la London Symphony Orchestra. Sicuramente è un lavoro musicalmente poco appariscente, se paragonato a Everybody Know This Is Nowhere, After The Goldrush, On The Beach, Tonight’s The Night, Zuma o Rust Never Sleeps che io giudico migliori, ma, rispetto a tutti questi dischi, Harvest smorza i toni e le ruvidezze e quindi si fa apprezzare da un pubblico più vasto, quello che ha sempre amato il Young menestrello più che il padre del grunge.
L’apertura è per Out On The Weekend, un brano che potremmo definire la quintessenza dell’album. Pacato, ben costruito sulla batteria metronomica di Kenny Buttrey e la slide onnipresente del grande Jack Nietzsche che porta a spasso The Stray Gators, la band di supporto che annovera tra le file anche Ben Keith e Tim Drummond. Segue Harvest, grande ballata country che si enfatizza nei versi “Dream up, dream up, let me fill your cup with the promise of a man”.
A Man Needs A Maid non mi permette di essere obiettivo. Non ho mai amato i brani rock suonati con una orchestra sinfonica, la trovo inutile e ridondante in buona parte dei casi e credo che qui non si sfugga alla regola. Le versioni più raccolte che darà in seguito Young saranno a mio avviso di gran lunga migliori e trarranno il meglio da questa splendida composizione. Idem dicasi per There’s a World, che però è anche meno bella e che risente un po’ del periodo storico troppo ‘progressivo’.
A parte questa parentesi poco incisiva, gli altri brani sono da urlo: Heart Of Gold, il singolo con James Taylor e Linda Ronstadt alle backing vocals, è semplicemente perfetto e rimarrà per sempre nelle ‘vene’ della tradizione americana, proprio come Old Man, sempre con i due amici alle backing vocals, che ha nella chitarra di Young, nel banjo di Keith e nelle tre voci il vertice della composizione.
Per gli altri pezzi invece perché non farsi aiutare dagli amici di quel tempo? Ecco quindi Crosby, Stills e Nash duettare a rotazione su Are You Ready For The Country? (Crosby & Nash), canzone tra l’ironico e il patriottico in cui è ancora il piano di Nietzsche a fare da padrone, su Alabama (Crosby & Stills), altra invettiva contro il razzismo del sud dopo la Southern Man su After The Goldrush a cui i Lynyrd Skynyrd risponderanno con l’arcinota Sweet Home Alabama, e su Words (between the lines of age) (Stills & Nash), che chiude ottimamente l’album e finalmente libera gli istinti oscuri della chitarra stralunata di Young. Sette minuti finali di pura poesia, già a partire dal titolo.
Ho lasciato per ultimo il brano forse più famoso, ovvero quell’invettiva tremenda del Young, drogato, contro la droga. The Needle And The Damage Done è qui proposta in versione live alla Royce Hall, solo chitarra e voce, ed una di quelle canzoni che hanno spinto molti adolescenti a comprare una chitarra. Il verso “ogni drogato è come un sole che tramonta” mette sempre i brividi. Davanti a opere così bisognerebbe senza dubbio togliersi il cappello.
Reprise 7599-27239-2 (Singer Songwriter, Country Rock, 1972)
Fabrizio Demarie, fonte TLJ, 2006