Sarà per l’aria simpatica da old timer un po’ freak, pizzo sandali e camicione, che lo ha sempre contraddistinto sin dai primissimi anni ’70, o forse ancora di più per le proficue collaborazioni, a partire da quella con Dylan, meteora a Nashville nel lontano ‘69, fino alla più recente col texano Steve Earle, fatto è che tra i chitarristi acustici americani ‘country’ l’anziano Norman Blake gode da parte della nostra critica (della poca rimasta a scrivere ancora di American roots music), ma anche degli appassionati del genere, di un rispetto che, a mio avviso, andrebbe ridimensionato.
Una considerazione direi di poco inferiore soltanto a quella assolutamente giusta e doverosa dimostrata nei confronti di Doc Watson. Mi si accusi pure di avere un’opinione eccessivamente influenzata dalle decine di flat-pickers ascoltati negli ultimi vent’anni. Eppure, anche tenendo presente il contesto in cui ha agito Blake durante la sua carriera, per il sottoscritto rimane soltanto uno dei tanti chitarristi ai quali prestare attento ascolto.
Pro, molte canzoni originali a dir poco meravigliose. Contro, uno stile chitarristico piuttosto monotono, come la voce, anche se questa si fa meglio apprezzare grazie alla malinconia che riesce sempre a trasmettere.
Di quelle tante canzoni, alcune trovano giusto spazio in questa prima raccolta a lui dedicata, intitolata Old Ties, un vero e proprio ‘greatest hits’ che abbraccia due decenni, fino al 1990. Mi riferisco particolarmente a Church Street Blues, Down Home Summertime Blues, Ginseng Sullivan, Randall Collins/Done Gone. Le sue canzoni sono un po’ come quelle di Gordon Lightfoot: bellissime, ancora di più, però, se eseguite da altri. Ascoltandolo nell’accluso strumentale Lost Indian, al fianco di Tony Rice e Doc Watson, si capiranno meglio le mie considerazioni e… i suoi limiti.
Rounder 1166 (Old Time Music, Country Acustico, 2002)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 65, 2002