North Fork Rounders - Gee Ain't It Grand cover album

Dei North Rounders ci siamo occupati spesso ed ancora recentemente a proposito della suite musicale basata sul poema di Stephen V. Benet The Mountain Whippoowill. Il loro terzo disco, uscito nei primi mesi dell’anno scorso e contenente ben quindici brani, segna alcuni cambiamenti, il più importante dei quali consiste nell’aver ampliato il repertorio con musiche di differenti generi appartenenti a varie culture popolari. È senza dubbio la caratteristica (e l’orientamento) di gran parte delle attuali giovani string band.
Sia l’appassionato che segue da qualche anno il filone, sia l’ascoltatore con un minimo di preparazione, possono infatti cogliere in ogni nuova incisione il progressivo passaggio dalla tradizione musicale bianca nordamericana a folklore scoto-irlandese (o viceversa) la completa assimilazione della tradizione nera, fino al perfetto connubio tra l’una e le altre. Dati i tempi e ad un sommario esame queste simbiosi possono forse apparire ovvie ed auspicabili; a mio parere comunque il fenomeno merita un’analisi più approfondita.

I Rounders esordirono nel 1978, dopo aver vinto il primo premio come migliore otm-band nel corso di un contest in Kentucky, con Railroadin’ And Gamblin’ (Davis Unlimited 33040), album magistralmente suonato e programmato con cura per quanto riguardava la scelta dei titoli: tutti adattati ai modelli resi famosi dai gruppi più veraci degli anni venti e trenta e tutti stilisticamente fedeli agli originali. L’unica pecca era emersa con la pretesa di uscire dall’ordinario modificando troppo spesso e con discutibile gusto i testi tradizionali.
In questo LP il quartetto sembra aver trovato un giusto compromesso (giusto secondo il loro personale punto di vista) attingendo a svariate fonti, cimentandosi con composizioni proprie e con motivi un tempo decisamente impensabili per una formazione di questo tipo. Pur eseguito con forti ibridi concessioni al ragtime ed al blues, il folklore bianco riveste ancora un ruolo predominante ed è rappresentato da parecchie formule musicali ascrivibili ad epoche diverse.
Rufus Blossom e Blue Tail Fly risalgono al centenario, ma sempre arzillo e tuttora capace di sorprendere, minstrel-show; Mineola Rag, Moving Day, universalmente sfruttate e servite in tutte le salse, appartengono qui di diritto al pre-western swing; l’eccellente Got A New Lady e Nancy Jones (che stranamente non compare nei titoli e nelle note di copertina), allo swing.

Per gli amanti della protesta sociale armata d’ironia alla Blind Alfred Reed, e per confondere oltremodo le idee ai non addetti, i Rounders riservano la purtroppo poco conosciuta Black & Blue Blues (in realtà una blues-ballad) ed una intricata versione di Lightning Express, a tratti otm ed a tratti pre-bluegrass. Gli originali, firmati dal versatile Bill Stevens, sono Fiddling Satie, l’indovinato medley The Tenth Of June/The Hammerdog Song e Walk Along John, le ultime due con musica autografa su testo (una volta tanto) tradizionale o almeno entrato nella tradizione.
Allo scettico che esigesse ad oltranza un saggio delle qualità del disco, consiglierei di ascoltare House Of David Blues (c/o McGee Brothers & Arthur Smith), certamente una delle più azzeccate interpretazioni mai tentate. A parte l’impiego del chitarrista Galen Cummings, che dà il cambio al vecchio Craig Wales in quattro brani tecnicamente abbastanza impegnativi, la line-up del gruppo è rimasta sostanzialmente inalterata.
Gee Ain’t It Grand si rivela insomma un buon lavoro, benché necessiti di un’ulteriore conferma agli occhi di coloro (sottoscritto compreso) che lo ritengono per il momento un interessante esperimento nel campo della musica per string band, legata saldamente alla tradizione e nel contempo soggetta al lentissimo ma inesorabile cammino della stessa. Il nuovo album è annunciato per l’inizio della prossima estate.

Fretless FR 140 (Old Time Music, 1980)

Pierangelo Valenti, fonte Mucchio Selvaggio n. 39, 1981

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