Osborne Brothers – Some Things I Want To Sing About cover album

Cambio di etichetta per i fratelli Osborne, e grosso acquisto per la ‘piccola’ Sugar Hill. Sonny, Bob e il resto della band sono in un momento di particolare grazia, almeno a giudicare dalle buone vendite dei loro album e dal sempre maggior numero di apparizioni in festival e trasmissioni televisive ‘importanti’ (parlo ovviamente degli States!). Il gruppo è ormai collaudato da anni di esperienza insieme, e l’aggiunta di Blaine Sprouse al fiddle è stata indubbiamente perfetta per il completamento dell’attuale ‘Osborne sound’.

Some Things … non si discosta molto dagli album precedenti: le armonie vocali sono come sempre ottime, la voce di Bobby è in ottima forma, e il banjo di Sonny riesce ad essere sempre fresco dopo vent’anni di continua ed irrefrenabile improvvisazione. Paul Brewster resta a completare il trio vocale (con voce sempre più simile a quella di Sonny e Bob), e la sua chitarra stende una base ritmica insieme col basso di Jimmy D. Brock.

Ospiti di studio in questo album sono gli ormai soliti Ray Edenton (chitarra), Kenny Malone (drums), Hal Rugg (steel), Hargus ‘Pig’ Robbins (piano), Paul Craft e Donnie Collins (voci), e a questo punto chiunque può capire che non c’è molto bluegrass in questo nuovo prodotto dei fratelli Osborne, così come in quasi tutti i loro dischi dal ’60 a oggi. Ma è buona country music, quindi possiamo smettere di agitarci. E in fondo un po’ di bluegrass c’è: la vecchia Wreck Of Old 97 è resa più attuale da un paio di cambi di tonalità; Somehow Tonight di Scruggs perde l’originale ruvidezza da anni ’50 in un ritmo più fluido creato dall’accoppiata di Sonny con Kenny Malone; i due ‘train songs’ How Much Does It Cost To Ride This Train e Can’t You Hear That Whistle Blow, infine, si inseriscono perfettamente nel genere un po’ ‘grass’ e molto country creato dai due fratelli negli anni ’50.

Il resto dell’album, decisamente country, è di volta in volta ottimo, discreto, un po’ qualsiasi. Strumentalmente il gruppo è ineccepibile, anche se Bobby pare aver perso un po’ di smalto nel fraseggio dei suoi break, e riesco perfino ad apprezzare un ‘solo’ di basso funky ad opera di Jimmy Brock (cosa che un po’ di anni fa avrei stigmatizzato …).

Il tocco di Sonny Osborne nella produzione dell’album è costantemente avvertibile: ogni voce e strumento ha la giusta presenza, il giusto suono, e l’ordine dei pezzi è scelto con cura. Trovo però curioso che Sonny, fino a non molti anni fa deciso assertore dei pregi dei cori cantati su un unico microfono, abbia in questo album separato nettamente le voci, con un effetto non molto convincente di stereofonia laddove una maggiore fusione sarebbe stata gradita.

Ma forse è da pazzi badare a queste inezie…

Torniamo alla musica. E notiamo subito un paio di curiosità: Sonny rispolvera il suo vecchio banjo a 6 corde (non un banjo-chitarra, naturalmente, bensì un banjo a 5 corde con una corda bassa aggiunta) per un efficacissimo lavoro di back-up e solo in So Doggone Lonesome, e Bob fornisce un inedito break con due mandolini in armonia per Rosie Bokay.

E questo è quanto: come sempre mi sarei aspettato qualcosa di più dagli Osborne Brothers, e, come altre volte, in questo album i momenti felici si alternano a minuti di quasi-stanchezza, ma alla fine dei discorsi l’album si lascia ascoltare, e pare che a Sonny e Bob le idee originali non manchino mai.

Non è veramente bluegrass? E pazienza…

Sugar Hill SH-3740 (Bluegrass Tradizionale, 1984)

Silvio Ferretti, fonte Hi, Folks! n. 9, 1984

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