Succede che artisti come Richard Greene, David Grisman, Tony Rice, Bela Fleck, Tony Trischka e Peter Rowan – ma l’elenco potrebbe essere ben più lungo – ciclicamente tornino con una certa puntualità al bluegrass. E spesso, per quanto possibile, cercando di riproporlo in maniera classica. Perché? Forse la risposta sta in quel modo di dire, che è anche il titolo di una canzone bluegrass, “home is where the heart is”. Credo, infatti, che per questi si tratti proprio di un ritorno a casa. E credo anche sia una vera e propria esigenza, piuttosto che una scelta determinata dall’andamento del mercato. Probabilmente, nei momenti in cui si sentono ‘persi’, nel bel mezzo di una costante ricerca stilistica sempre volta al nuovo, è nel bluegrass che riescono a ritrovare l’energia di cui hanno bisogno. E nel bluegrass quell’energia la ritrovano.
Peter Rowan di dischi bluegrass ne ha incisi diversi, ma pochi dal suono tradizionale, quel suono che lui ha avuto la fortuna di assimilare direttamente da Bill Monroe. E’ bene ricordare, a tal proposito, che Peter a metà degli anni ’60 entrò a far parte dei Bluegrass Boys, e Monroe non lo scelse per dare nuova linfa al suo genere musicale – la libertà che egli concedeva ai suoi musicisti era limitata, appena quanto bastasse per continuare ad offrire una musica fresca – piuttosto, per dare una immagine di se attuale, rompendo la tradizione che vedeva utilizzare solo musicisti del Sud. Una scuola indimenticabile. E a questa scuola Peter ha tributato oggi il suo secondo disco, dopo quel bellissimo The First Whippoorwill di oltre dieci anni fa. Ma a differenza di allora i brani proposti sono tutti originali, e tutti dal suono classico: a garantire continuità ad una musica che può vivere di vita propria, un ponte incrollabile tra il passato ed il futuro.
Sugar Hill CD-3859 (Bluegrass Tradizionale, 1996)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 34, 1996
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